La voce di Tiresia
I vuoti incolmabili, quelli cui non ci si abitua, hanno la doppia valenza di lasciarci quasi senza punti di riferimento e, al contempo, d'enfatizzare quanto fosse importante chi ha lasciato quel vuoto. È il caso di Andrea Camilleri: il suo vuoto è tra i più importanti, non solo per il suo talento immenso nella scrittura, ma anche perché con la sua ironia rude e affilata faceva sentire la sua voce e, in qualche modo, ci aiutava a orientarci in questa Italia d'oggi, così strana e ambigua. Classe 1925, Andrea Camilleri si forma nell'epoca del Fascismo e consegue la Maturità Classica nel 1943. Si dedicherà poi all'arte e sarà col teatro che affinerà le sue doti. Sarà un regista teatrale amato e capace, il primo a portare in Italia Beckett, con Finale di Partita, ma riserverà spazio anche al conterraneo Pirandello. La scrittura sarà, però, sempre tra i suoi amori più grandi e lo porterà a spaziare fra moltissimi generi, compreso quello, il poliziesco, col quale scardinerà il lucchetto della fama, diventando autore conosciuto e apprezzato anche fuori dallo Stivale.
Il primo romanzo della serie di Montalbano è del 1994, La Forma dell'Acqua, ma i suoi scritti circolavano già dalla fine degli anni '70. È indubbio, comunque, che siano le avventure del Commissario di Vigata, trainate dal successo della serie televisiva, a dargli una visibilità senza limiti. Come sapete, la più celebre delle creature di Andrea Camilleri prende spunto nel nome dall'autore Manuel Vázquez Montalbán, molto amato dallo scrittore. E, in Montalbano, Andrea Camilleri mette moltissimo della sua filosofia, del suo modo di pensare e della sua ironia, uniti alla capacità d'imbastire un ordinato racconto non privo di colpi di scena, anche se di questi non facesse il suo punto di forza. I racconti e i romanzi di Montalbano non sono gialli convenzionali: l'indagine c'è ed è anche molto presente e coinvolgente, tuttavia fa da contorno ad altro: alle atmosfere calme, quasi stanche, della Sicilia dei giorni nostri; ai tic nervosi che gli abitanti dell'isola, o del paese immaginario di Vigata, non sanno d'avere, ma che riconoscono all'istante quando sono messi davanti ai loro occhi; alle idee, agli atteggiamenti, alle ingiustizie. Ecco, a tutte queste cose Andrea Camilleri s'affida, per fare in modo che il suo romanzo sia indimenticabile. E il gioco gli riesce molto bene.
Montalbano è scaltro come Maigret, solido nelle idee e fumantino, quando si «sciarrìa» coi suoi superiori; delle sue molte imperfezioni ci s'innamora da subito. Così, senza che il lettore se ne accorga, il romanzo vira e da poliziesco diventa satira, parodia, denuncia sociale. Andrea Camilleri, da amante del mare, riesce a farci salire sulla sua nave, ingolosendoci con qualcosa che amiamo, ma poi è lui a manovrare il timone, per condurci al cospetto di quei panorami che scopriamo molto presto di voler vedere. Ne parliamo al presente ancora, perché quando si perde una guida così potente è difficile lasciarla andare e, a dirla tutta, non è detto che si debba davvero farlo. Un guerriero, Andrea Camilleri: ha combattuto fino all'ultimo, lavorando e non piegando la schiena di fronte a nessuno. Anche quando diventa cieco, continua imperterrito a scrivere, a pensare, a far sentire forte la sua voce, in maniera garbata ma precisissima. Aveva metodo lo scrittore, aveva carattere l'uomo. Non iniziava a scrivere se prima non aveva una mappa puntuale del romanzo, i cui capitoli dovevano essere lunghi tutti lo stesso numero di pagine. Il ritmo e la metrica, formatisi in gioventù sulle poesie che leggeva, ma che pure componeva, prendendo il riconoscimento anche da Ungaretti, il quale sceglie alcuni dei suoi componimenti per un'antologia, sono molto importanti. Così come lo è la scelta stilistica del linguaggio: un siciliano addomesticato, che diventa più musicale e s'armonizza con l'italiano semplice, come anche col più complicato dei discorsi. C'è molto in Andrea Camilleri a ricordare Umberto Eco, forse perché entrambi erano Maestri, non solo nella loro arte, ma anche nella vita. Entrambi umili, facevano quanto riusciva meglio loro: ispirare e coccolare, bastonare e indicare la via che ritenevano migliore. Siamo rimasti davvero orfani di un pensatore fuori livello, qualcuno le cui parole risuonano, anche senza essere roboanti. Qualcuno che anche nel vuoto esiste, è presente e sarà per sempre ricordato.
di Alessandro Sparatore
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