Un potenziale sprecato
Il 1996 sembrava essere l’anno ideale per i fan giapponesi di Dragon Ball. Con la chiusura della storia di Dragon Ball Z, Toei Animation annunciò che, dopo la fine della messa in onda degli ultimi capitoli dell’anime tratto dall’opera di Akira Toriyama, sarebbe partito immediatamente un nuovo show originale, stavolta però senza il supporto del manga e del suo autore. Nasceva così Dragon Ball GT.
Probabilmente, Akira Toriyama, ormai al dodicesimo anno d'attività dietro alla sua creatura più celebre, rispose con un sonoro gesto a ombrello ai produttori della Toei che chiedevano invano un suo contributo. Continuare un’opera così importante per l’industria giapponese era sicuramente un’impresa titanica, soprattutto perché, fino a quel momento, Toei non era mai stata in grado di regalare storie originali in grado di catturare l’attenzione del pubblico. Dragon Ball Z, come tutti ricorderanno, fu una vera e propria montagna russa in fatto di qualità, coi picchi della saga di Freezer seguiti immediatamente dalla noia mortale dell’arco narrativo di Garlic Jr.. Senza la penna d'Akira Toriyama, insomma, riuscire a conquistare ancora un pubblico ormai abituato a un livello di storytelling davvero alto, nonostante la saga di Majin Bu, rappresentava un’impresa quasi impossibile da compiere. Dal titolo di questo articolo, avrete già capito cosa pensi di Dragon Ball GT: eppure, una luce all’interno di un prodotto davvero limitato si può intravedere.
Iniziamo a parlare della pre-produzione. Toei era indecisa in quale momento della timeline della serie ambientare le nuove avventure di Goku e dei suoi amici. Il manga si concludeva con un salto temporale di 10 anni e forse questa circostanza suggerì al produttore Kōzō Morishita e al resto dello staff di raccontare proprio quel periodo di tempo, esattamente come farà Dragon Ball: Super quasi vent'anni dopo. In seguito, per evitare di mettere mano alla storia di Akira Toriyama, decisero di creare un vero e proprio sequel: il titolo sarebbe dovuto essere Dragon Ball: the Next Generation, per rimarcare un vero e proprio cambio di rotta della serie. Intervenne poi lo stesso Toriyama, che suggerì d'inserire le lettere GT. Tutt’oggi, neanche Kōzō Morishita ha idea di cosa vogliano dire esattamente e sospetta siano l’acronimo di Grand Tour.
Akira Toriyama contribuì pure con alcuni nuovi design dei personaggi principali. Mancava la trama, però. Effettivamente, con Goku ormai diventato invincibile soprattutto nel contesto terrestre, ne andava trovato un altro in cui far faticare un Super Saiyan di terzo livello. Non solo: bisognava trovare anche un modo per intercettare il pubblico giovane, non ancora pronto a vedere personaggi esplodere per aria, e mantenere la grandissima base di lettori cresciuti col manga, abituati alla maggiore violenza e all’impronta più matura data da Toriyama nel corso degli anni. Tutti questi fattori spinsero la Toei a cercare di ricreare le avventure del primo Dragon Ball. Da qui nascono le sfere del drago interstellari e il desiderio di Pilaf di far tornare Goku bambino. Portare il protagonista a confrontarsi con buffe realtà diverse, portando con sé l’ormai teenager Trunks e sua nipote Pan, permisero a Dragon Ball GT di tornare all'origine della saga. Il primo rappresentava il mix ideale fra la forza fisica di Vegeta e l’intelligenza di Bulma, mentre la seconda era il prototipo della damigella da salvare, che si caccia sempre nei guai.
Eppure, proprio Pan è forse uno dei peggiori personaggi mai apparsi sui piccoli schermi giapponesi. Il suo unico scopo è quello non solo di mettere Goku nelle condizioni d'apparire come l’eroe della situazione, ma anche di creare i problemi dai quali andrà tirata fuori. Questo concetto è stato espresso esplicitamente dallo stesso Kōzō Morishita: «Il ruolo di Pan era di essere forte, ma di perdere comunque contro i nemici, in modo da essere poi salvata da Goku, un'eroina che lo rendesse un eroe. [...] Queste storie danno un senso di sicurezza. Pertanto, abbiamo creato uno schema in cui Pan è in pericolo e Goku s'arrabbia con il nemico». Rendere Goku l’eroe indiscusso rispondeva anche all'esigenza di mostrare il Saiyan più celebre di tutti al pubblico più giovane, meno sensibile al ricco roster di personaggi vantato dalla serie originale: «[...] Con Dragon Ball Z, quando andavano in onda episodi con personaggi diversi da Goku, sebbene gli ascolti non ne risentissero, gli spettatori più giovani perdevano interesse. Se gli adulti guardavano la storia, [...] i bambini lo guardavano per i personaggi. Quindi dovevamo far apparire Goku».
C'era, poi, un altro elemento: il pubblico adulto era meno propenso a comprare gadget. Toei Animation non solo volevano continuare la storia, ma anche vendere il maggior numero di prodotti del franchise. In questo caso l'obiettivo fallì e gli autori di Dragon Ball GT non furono in grado d'unire lo show alle vendite. Primo responsabile fu proprio l'arco narrativo. Baby, per esempio, nasce come un’ottima intuizione, ovvero far affrontare ai Saiyan il loro passato colonialista attraverso un essere creato da un popolo oppresso. Ma un nemico del genere sarebbe stato probabilmente più adatto per Vegeta, Principe dei Saiyan ormai redento che partecipò alle conquiste del suo popolo. Baby contro Goku, invece, dà vita a uno scontro monotono, la classica routine di conquistatore e difensore della Terra.
La saga successiva di Super C-17, poi, si riduce a una semplice lotta tra giocattoli e presenta diverse e clamorose nefandezze di trama, come i due C-17 uniti insieme in grado di superare un Super Saiyan di quarto livello. È forse l’arco peggiore di Dragon Ball GT. La saga finale, invece, è quella più ricca di potenziale. Nel corso degli anni, fra mutandine femminili, personaggi risorti e ricomposizioni di pianeti distrutti, le Sfere del Drago sono state abusate, come sottolineato dal Kaiohshin il Sommo durante la saga di Majin Bu. L’idea che ogni desiderio sprigioni energia negativa all’interno delle sfere è davvero geniale, ma purtroppo almeno metà della arco narrativo è assolutamente noioso, con draghi talpa e oscenità varie. Eppure, il finale resta ancora memorabile e forse riesce addirittura a superare per impatto emotivo quello del manga originale. Alla fine, Dragon Ball GT suscita ricordi piacevoli a tanti fan e per i ragazzi nati negli anni ‘90 rappresenta un lontano ricordo legato alle scuole elementari, in tempi decisamente più semplici. Riascoltare il tema principale della sigla, in effetti, riesce a farci tornare indietro nel tempo, quando le delusioni erano dei vecchi e consumati nerd, mentre a noi ingenui bastava vedere una Kamehameha rossa per gridare al capolavoro. È difficile provare rancore per Dragon Ball GT e per questo vorrei terminare con una nota positiva, ricordando a tutti voi i cinque migliori momenti della serie. Ovviamente, vi avverto che lo spoiler è dietro l'angolo.
1. La sigla originale
Non ce ne voglia Giorgio Vanni: Dragon Ball ha sempre potuto andare fiero delle sue sigle, sempre d'altissimo livello. Dan dan kokoro hikareteku non fa eccezione.
2. La Sfera Genkidama finale
Come per Dragon Ball Z, l’ultimo nemico di Dragon Ball GT è sconfitto dalla famigerata Sfera Genkidama, attacco apparentemente in grado d'eliminare solo i nemici finali d'ogni serie... L’idea di raccogliere le energie di tutto l’Universo, compresi i buffi personaggi incontrati lungo il corso della serie, è il miglior modo per concludere lo show.
3. Vegeta che offre a Goku di usare la fusione
Abbiamo lasciato Vegeta alla fine di Dragon Ball Z ormai rassegnato all'impossibilità di pareggiare Goku. In Dragon Ball GT, grazie all’aiuto di Bulma, il Principe dei Saiyan riesce a ottenere il potenziamento necessario per arrivare al quarto livello e senza passare dal terzo per aiutare Goku contro Li Shenron. Constatata la superiorità dell’avversario, Vegeta propone al suo ex rivale di ricorrere alla fusione. Potrebbe sembrare un gesto scontato in una situazione di pericolo simile, ma che arrivi proprio dall'orgoglioso Vegeta dimostra quanto il Principe dei Saiyan sia cresciuto nel tempo, anche grazie alla capacità degli autori di Dragon Ball GT.
4. Il Super Saiyan di quarto livello
L’idea d'abbandonare il biondo platino in favore di un look più scimmiesco è forse una delle innovazioni migliori introdotte da Dragon Ball GT. Il design del Super Saiyan 4 è forse uno dei migliori di tutta la saga, andando addirittura a giocarsi il primato con l’originale Super Saiyan.
5. Il finale
Mai avremmo potuto pensare che, con quelle premesse, Dragon Ball GT potesse finire in un modo così eclatante ed emozionante. Alla fine di Dragon Ball, Akira Toriyama aveva ha fatto scappare Goku dalla sua famiglia per allenare Ub, un bambino dal grandissimo potenziale. Toei Animation, invece, decide di dare un tocco più mistico alla chiusura di uno dei personaggi più famosi della Storia del Giappone, lasciandolo volare via con Shenron e le Sfere del Drago, divenendo tutt’uno con esse. L'ascesa dell'eroe, ovviamente, arriverà dopo un commovente saluto con Junior prima e Crilin poi, e chiuderà il cerchio iniziato sull’isola del Genio delle Tartarughe. Con Dan dan kokoro hikareteku di sottofondo, chi non ha pianto è un seguace di Babidy.
di Valerio Massimo Schiavi
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