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Easy
«Sono diagnosticamente depresso»
Easy è quel film che non t'aspetti. Quel genere di pellicola che vorresti vedere più spesso. La trama è semplice come deve essere un on the road movie che sia anche opera di formazione. Ma trama semplice non vuol dire film banale. Anzi. Easy non urla, né invade violentemente i sensi, ma s'insinua sottopelle, avviluppandoti e lasciandoti scivolare in un caldo abbraccio. La fotografia e le musiche sostengono una narrazione impreziosita da decori scenografici e di costume mai fini a loro stessi.
Isidoro, ex promessa dell’automobilismo, vive la sua depressione tra videogame, cibo e farmaci. Schiacciato tra la madre ossessionata dall'attività fisica e dalla forma (perfetta, quindi, l’iconografica scelta di Barbara Bouchet) e il successo effimero e finto del fratello (Libero De Rienzo). Sarà proprio quest’ultimo a mettere Isidoro Easy sulla strada che lo porterà lontano da casa. La percorrerà non per aiutarlo, ma solo per coprire le colpe di lui. E così, Easy parte alla guida di un carro funebre, incapace d'ogni forma d'interazione sociale e alla volta di un piccolo paese nei Carpazi, per riportare a casa Taras, un operaio morto nel cantiere del fratello. Il viaggio in sua compagnia ci porterà a incontrare una varietà di personaggi meravigliosi, diversi, tutti in grado di regalare emozioni: partendo dal vecchio col carretto, per arrivare alla figlia di Taras, passando per il prete cantante, l’inserviente della mensa, i poliziotti della centrale e tanti altri. Nessuno ci lascerà insensibile, nessuno sarà uguale. Tutti personaggi che enfatizzano con le loro parole e azioni il monologo narrativo di Easy, interpretato da un bravissimo Nicola Nocella, Nastro d'Argento nel 2010 con Il Figlio più Piccolo.
La bara del povero Taras diventa la spalla e la coprotagonista di questa storia, una metafora del passato di Easy, del fardello che lo tiene legato al passato, impedendogli di godere del presente e tanto meno di pensare al futuro. Ed è qui l’essenza del film: è la storia di chi rimane incapace di finire quanto iniziato, cercando alibi e colpe esterne. Quel processo che porta a costruire una bugia, fino a considerarla verità. Easy non ha vinto la sua corsa e di conseguenza si mette sul secondo gradino, scelta enfatizzata da evidenti simboli e dallo stesso percorso narrativo. Non è un secondo, è un non arrivato. Non ha finito. E deve ammetterlo ad alta voce, deve porsi di nuovo di fronte alla verità, con la meravigliosa scena del muletto con la bara su una pista da Kart. In quest'ottica, anche la madre assume una luce diversa. Non è più crudele e cinica, ma anch'ella accetta, incapace di reagire, la bugia raccontata dal figlio, lo preferisce secondo piuttosto che mai arrivato.
Easy è meno convincente quando il film lascia questo percorso narrativo carico di poesia per indugiare nei passaggi da commedia, quando la scena è occupata da più di due personaggi o quando tenta di dettare per forza una risata allo spettatore. Perché la vera voce di Easy si sente nelle pause, nei silenzi. E Nicola Nocella s'esprime magnificamente col suo corpo, nel modo di muoversi e occupare la scena. Isidoro finirà il proprio viaggio e questa circostanza aprirà a nuove domande, le stesse che ci atterriscono, impedendoci il più delle volte di andare oltre e di fare il salto, di passare da crisalide a farfalla. E se questi sono i medesimi quesiti che s'è posto il regista Andrea Magnani appena finito di girare Easy, ci auguriamo che possa continuare a percorrere la strada e arrivare alla fine, al suo traguardo.
di Ludovico Cafarelli