Cadrà ancora la neve questo Natale
«C’era una volta un ragazzo che aveva le forbici al posto delle mani...». Comincia così il racconto di una nonna alla sua nipotina, che le chiede da dove viene la neve che cade giù dal cielo. «Tanti anni fa», prosegue l’anziana donna, «viveva in un castello un inventore, che diede vita a una creatura con tutti gli organi: un cuore, un cervello... Purtroppo l’uomo morì prima di finire l’individuo che aveva creato. Il nome di questo individuo era Edward». È il 1990 quando l’oggi noto e pluripremiato regista visionario Tim Burton dirige la drammatica fiaba nera più amata di sempre, Edward Mani di Forbice; contemporaneamente, impone il suo stile e la sua firma nel mondo cinematografico. Preceduto da Beetlejuice (1988) e Batman (1989), il film consacra il genere burtoniano che, mischiando insieme tipologie diverse, crea quel mix caratteristico tra horror e commedia, cui mescola e intreccia i temi del fantastico, del surreale e del gotico.
Con Edward Mani di Forbice ha anche inizio la lunga collaborazione del regista con l’attore Johnny Depp, la sceneggiatrice Caroline Thompson e il compositore Danny Elfman, che ritroveremo in seguito in moltissimi altri capolavori del Maestro. Si racconta che le origini di Edward Mani di Forbice possano essere trovate nei disegni d’infanzia del regista, il quale sin da bambino aveva grandi difficoltà a comunicare e tendeva a isolarsi. Uno disegno in particolare ritraeva un uomo magro e solenne, con lunghe lame affilate al posto delle dita: «Avevo la sensazione che la gente avesse voglia di lasciarmi in pace per qualche assurdo motivo, ma non sapevo esattamente perché», ha dichiarato in tante occasioni Tim Burton. Forse fu proprio questo volersi e sentirsi isolare dagli altri che lo ha spinto, da adulto, a creare questo meraviglioso gioiello di arte cinematografica sulla diversità.
Edward Mani di Forbice è una moderna favola d’amore, un racconto fantastico e crudele che punta i riflettori sui pregiudizi, la diversità, l’intolleranza, il bigottismo e la più bieca ipocrisia della società americana di metà Novecento. L’ammirazione per l’autore maledetto Edgar Allan Poe, che ne influenzerà lo stile peculiare, la passione per i film horror di Roger Corman e l’amore, insieme alla stima, per l’attore che più ne interpretò e ne caratterizzò il filone negli anni della sua giovinezza, porta Tim Burton a scegliere proprio Vincent Price come ideatore e inventore del suo Edward, un uomo completo di tutto, eccetto che delle proprie mani. Un giorno, la rappresentante cosmetica della Avon, Peggy Boggs (Dianne Wiest), delusa da una mattinata di porta a porta infruttuosa, decide d'avventurarsi verso il tenebroso castello sopra la collina: qui s'imbatte in Edward, un misterioso ragazzo dal volto sfregiato e delle terrificanti lame al posto delle mani.
Mossa a compassione nel constatare tanta solitudine e catturata dalla dolcezza di quello sventurato, decide di portarlo a casa con sé. L’arrivo di Edward, l’eccentrico e strano ragazzo, scatena subito grande curiosità agli occhi degli abitanti della piccola e tranquilla comunità, ricostruita ad hoc dal geniale regista per rappresentare una comune periferia americana, con casette tutte uguali dai colori pastello e giardini ordinati, abitata dal ceto medio e stereotipata all’estremo. Grazie alla grande predisposizione nel maneggiare le sue mani di forbice, Edward attira l’attenzione del vicinato, modellando meravigliose siepi con forme e dimensioni eccezionali, prima, e le chiome delle più coraggiose donne della cittadina, poi. Qualcuno comincia così a chiedersi come sfruttare il talento e la diversità del ragazzo a proprio vantaggio e, fra bassezze ed equivoci, viene presto sancito il suo triste destino.
Visto da un’altra ottica, Edward Mani di Forbice si trasforma in un peculiare trattato antropologico intriso di psicologia sociale che, estremizzando al massimo le caratterizzazioni dei personaggi, analizza e sviscera l’incontro col diverso, in ogni passaggi: dalla curiosità alla paura, fino alla demonizzazione. In varie interviste, Tim Burton ha detto: «Ho un problema quando la gente dice che qualcosa è reale o non è reale, normale o anormale. Il significato di queste parole per me è molto personale e soggettivo», ed è così che con Edward Mani di Forbice il pregiudizio si trasforma in giudizio attraverso un conformismo diffuso, che attecchisce nelle menti inquadrate dei benpensanti; quel significato soggettivo di cui parla Tim Burton svanisce, surclassato dall’oggettivo e definitivo giudizio della condanna, che si manifesta attraverso i sentimenti e le azioni di disapprovazione, punizione e biasimo.
E allora chi o cosa può salvare Edward, il timido e introverso uomo dotato di un’incredibile sensibilità e capace d'amare, ma impossibilitato ad avvicinare altre persone, ad abbracciarle o a toccarle senza rischiare di far loro del male? Nella sua nuova famiglia adottiva, Edward conosce e s'innamora della giovane e bellissima figlia di Peggy, Kim (Winona Ryder): saranno proprio i sentimenti d'amore di lei a salvarlo. E qui Tim Burton trasforma la sua fiaba nera in racconto romantico, dove il mostro s'umanizza grazie proprio all’empatia, al sentire dentro i sentimenti di lui, all’ascolto non giudicante e privo di aspettative e preconcetti del suo stato d’animo e del suo sentire, offrendo la propria attenzione, donando il proprio amore. Ma è anche nell’impossibilità d'amare qualcuno intensamente e con tutti se stessi, senza fargli involontariamente del male, che esplode il messaggio, racchiuso nelle due battute più famose del film: «Stringimi!», chiede Kim a Edward. «Non posso!», risponde lui.
di Francesca M. Russo
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