Frank3n5t31n
«Strato dopo strato»
Avete presente quelle serate con gli amici in cui bevete più del solito e cominciate a tirare fuori le discussioni più assurde? Del tipo: chi vincerebbe fra Hulk e Superman? Ecco, ci piace immaginare che Frank3n5t31n, che d'ora in avanti scriveremo semplicemente Frankenstein per non intrecciarci le dita sulla tastiera, sia nato esattamente così. Pensare, infatti, che la nuova riduzione del classico gotico di Mary Shelley sia stata voluta coscientemente così, ci obbligherebbe a rivalutare i cinepanettoni dei fratelli Vanzina. Certo, già il titolo del film scritto con i numeri al posto delle vocali avrebbe dovuto metterci in allarme. Se la prima immagine a venire in mente è quella di un mostro con una bella linea di punti di sutura ad attraversargli la fronte, due grandi elettrodi di metallo sul collo, passo pesante e un patchwork di pezzi anatomici a comporre l'insieme, qui la creatura è un ragazzo bellissimo, perfetto. Tanto che l’attore chiamato a interpretarlo è stato preso dai bellocci della scuderia di Twilight e come molti purosangue donatici da quella saga non sa proprio cosa voglia dire recitare. Non solo: abbandonate l'immaginario del castello abbandonato e abbracciate, invece, l'idea di un concepimento tramite una gigantesca stampante 3D.
La creatura appena generata ha i comportamenti di un neonato di poche ore, ma il corpo di un venticinquenne. Il dottor Victor Frankenstein e sua moglie Elizabeth, interpretata da una Trinity priva di frezza bianca fra i capelli, sono felicissimi per questa loro creazione e il giovane identifica da subito la dottoressa come la propria madre, dando luogo a scene ridicole e imbarazzanti, capaci di devastare nei primi cinque minuti di proiezione quanto nei sogni alcolici di produttori e regista avrebbe dovuto essere un film carico di pathos e romanticismo. Passano i giorni e al ragazzo cominciano a spuntare degli enormi bubboni in fronte. Nomn è l’adolescenza: le cellule artificiali di cui è composto risultano instabili e cominciano a generare pustole e tumori su tutto il corpo, deturpandone la bellezza. Unica soluzione è dunque ucciderlo, per evitargli ulteriori sofferenze e per farlo usano un’iniezione fatale. La creatura è portata in obitorio per l’autopsia e per poter recuperare qualche pezzo, ma ovviamente il mostro si risveglia e, in una delle scene più disagiate della cinematografia mondiale, uccide i due medici che volevano sezionarlo. Imperdibile il momento in cui uno dei due, stretto nella morsa della creatura, chiede all’altro un sedativo. State ridendo anche voi pensando al «sedatavo» dell’immortale Aigor di Frankenstein Junior? Il mostro è completamente ricoperto di sangue, impara a camminare e poi a correre nel giro di pochi secondi e fugge via, nascondendosi nella foresta.
Ecco, dunque, il momento bucolico: la creatura inizia a vivere a contatto con la natura, mangiando carogne di animali investiti, ripiene di vermi. Fa anche amicizia con una cane lupo. I due vagano insieme per mesi, dividendosi lombrichi come Pumba e Timon, finché non raggiungono una cittadina dove nessuno si preoccupa di loro. Non vi diremo altro, perché, questo Frankenstein merita d'essere visto insieme agli amici per farsi delle grasse risate. Non si sono fatti scappare nulla: il vecchio cieco, la prostituta desiderosa del mostro, poliziotti in preda a raptus di giustizia e l’immancabile spiegone finale in occasione del confronto fra creatore e creatura, con dialoghi scritti da Don Piero, il prete che vi faceva catechismo la domenica mattina di tanti anni fa. Ma ci vogliono almeno un po’ di menzioni d’onore, prima di chiudere: l’abilità di Xavier Samuel, nei panni della creatura, d'essere così incapace a recitare, da risultare nettamente migliore quand'è completamente ricoperto di piaghe; la faccia fastidiosa di Danny Huston, qualsiasi personaggio interpreti; la prostituta che quasi vomita addosso al mostro quando vede il suo enorme Schwanstück devastato dalla malattia; la sirena della polizia, che arriva due secondi dopo un omicidio; Carrie-Anne Moss che prende a vassoiate in testa Danny Huston. Frankenstein avrebbe dovuto essere una rivisitazione completamente diversa di un classico già saccheggiato più e più volte, in mille salse: comiche, horror, commedia. Il tentativo di mascherare con l'horror un concetto filosofico offre un risultato così brutto, fatto male e inutile, da meritare un posto d'onore nelle nostre Buste, superando termini di paragone quali Game Therapy e avvicinandosi in modo clamoroso alla nostra pietra miliare, l'Anno Mille. Ma come ben sappiamo noi amanti del genere, la strada del trash è lastricata di film nati con grandi ambizioni: oggi una nuova mattonella va ad aggiungersi a questo dedalo affascinante. Stampata in 3D.
di Daniele Kinder Rea
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In questa recensione sono citati:
• Anno Mille (film)
• Frankenstein Junior (film)
• Game Therapy (film)
• Twilight (saga)