Frankenstein
«Strato dopo strato»
Avete presente quelle serate con gli amici, quelle belle, dove magari bevete più del solito e cominciate a tirare fuori le discussioni più assurde? Del tipo: chi vincerebbe fra Hulk e Superman? E sciorinate spiegazioni pseudo-scientifiche così assurde, che Einstein e Tesla si ritroverebbero con un facepalm di disapprovazione nella tomba? Ecco, a me piace immaginare che Frank3n5t31n, che d'ora in avanti scriverò semplicemente Frankenstein per non intrecciarmi le dita sulla tastiera, sia nato esattamente così, durante una serata alcolica a base di amaro. Pensare, infatti, che la nuova (ennesima) riduzione del classico gotico di Mary Shelley sia stata voluta coscientemente così, mi obbligherebbe a rivalutare i cinepanettoni dei fratelli Vanzina. Certo, già il titolo del film scritto con i numeri al posto delle vocali, in perfetto stile bimbominkia, avrebbe dovuto mettermi in allarme. Ora ora starete pensando: «Suvvia, messer Kinder, che esagerato! È un film su Frankenstein, funziona anche da solo, cosa mai potrebbero aver fatto per rovinarlo a tal maniera?». Evidentemente ignorate gli effetti dell'abuso di amaro. Se dico Frankenstein, la prima immagine a venire in mente è quella di un grosso omone dal colorito verdastro, con una bella linea di punti di sutura ad attraversargli la fronte, due grandi elettrodi di metallo sul collo, passo pesante e un patchwork di pezzi anatomici presi da diversi cadaveri a comporre il mostruoso insieme, magari in un laboratorio pieno di leve, accumulatori elettrici e provette. Bene, dimenticatevelo. La creatura, in questo caso, è un ragazzo bellissimo, perfetto, tanto che l’attore chiamato a interpretarlo è stato preso dai bellocci della scuderia di Twilight. E come tutti i purosangue donatici da quella saga non sa proprio cosa voglia dire recitare. Vi domanderete: ma se non c’è il laboratorio nella torre del castello, com'è nato questo tizio? Qui vi volevo! Ricordate? Vi parlavo di idee e teorie assurde fra amici proprio perché volevo sfidarvi a immaginare quale abbia dato origine a questo film: il mostro, infatti, è stato creato con una gigantesca stampante 3D. Sì, avete letto bene e no, non ero ironico. Un'enorme stampante 3D. Be', che male c’è? In fondo, se Howard Wolowitz e Rajesh Koothrappali in Big Bang Theory con la loro stampante 3D producono le proprie action figure, il dottor Frankenstein è libero di fabbricare quello che vuole, fosse anche un toy boy per la moglie.
Torniamo alla creatura: appena generata, i suoi comportamenti sono quelli di un neonato di poche ore, ma ovviamente ha una sgravo-forza imbarazzante e il corpo di un venticinquenne. Come a dire: il vero lato horror era il dover cambiargli il pannolino. Il dottor Victor Frankenstein e sua moglie Elizabeth, interpretata da una Trinity priva di frezza bianca fra i capelli, sono felicissimi per questa loro creazione e il giovane mostro, che mostruoso non è, identifica da subito la dottoressa come la propria madre, dando luogo a scene ridicole e imbarazzanti, capaci di devastare nei primi cinque minuti di proiezione quanto, nei sogni alcolici di produttori e regista, avrebbe dovuto essere un film carico di pathos e romanticismo. Passano i giorni e al ragazzo cominciano a spuntare degli enormi bubboni in fronte. È l’adolescenza, direte, basta un po’ di Topexan ed evitare che si chiuda ore nel bagno con l’iPad. E invece no, le cellule artificiali di cui è composto risultano instabili e cominciano a generare pustole e tumori su tutto il corpo (sì, pure sullo Schwanstück), deturpando la bellezza iniziale. Forse avranno usato materiale plastico cinese, che, sappiamo bene, lo paghi poco, ma poi dura da Natale a Santo Stefano. Unica soluzione è dunque ucciderlo, per evitargli ulteriori sofferenze: quindi, per farlo, usano un’iniezione fatale, che magari poteva esserlo solo per un essere umano normale, invece a un tizio creato con plastica riciclata delle bottiglie dell’acqua minerale causa solo tantissimo dolore e un giustificatissimo rodimento di culo. Alla fine la sostanza pare fare effetto, così la creatura è portata in obitorio per fare l’autopsia e poter recuperare qualche pezzo, in modo da poter almeno ammortizzare i costi del carrozziere, verrebbe da dire. Ovviamente il mostro si risveglia e, in una delle scene più disagiate della cinematografia mondiale, uccide i due medici che volevano sezionarlo. Imperdibile il momento in cui uno dei due, stretto nella morsa della creatura, chiede all’altro un sedativo. Se anche voi state ridendo pensando al «sedatavo» dell’immortale Aigor di Frankenstein Jr., avete vinto una serata alcolica con il regista di questo film. Il mostro, il quale ora lo è per davvero grazie ai bubboni e alle pustole, è completamente ricoperto di sangue, impara a camminare e poi a correre nel giro di quattro secondi, fugge e si va a nascondere nella foresta a duecento metri dal laboratorio, ma nessuno dei soldati della sicurezza riesce a trovarlo o colpirlo con le armi da fuoco, roba che a confronto i trooper sono tiratori scelti.
Ecco, dunque, il momento bucolico. Il nostro inizia a vivere a contatto con la natura, mangiando carogne di animali investiti ripiene di vermi. Fa anche amicizia con una cane lupo. I due vagano insieme per mesi, dividendosi lombrichi come Pumba e Timon, finché non raggiungono una cittadina dove nessuno si preoccupa di vedere qualcuno con il corpo devastato di ferite, completamente sporco di sangue, con evidenti problemi di deambulazione. Nemmeno quando s'avvicina a una bambina e la porta a giocare sul pontile di un lago, fino a quando non la butta di sotto. Da qui in poi non vi dirò altro del film, perché, credetemi, merita d'essere visto insieme agli amici per farsi delle grasse risate alla faccia del regista. Vi annuncio solo che non si sono fatti scappare nulla: il vecchio cieco, la prostituta desiderosa di bombarsi il mostro, i poliziotti in preda a raptus di giustizia fai da te e l’immancabile spiegone finale, in occasione del confronto fra creatore e creatura, con i dialoghi scritti da Don Piero, quello che vi faceva il catechismo la domenica mattina di tanti anni fa. Ma ci vogliono almeno un po’ di menzioni d’onore: l’abilità di Xavier Samuel (la creatura) d'essere così incapace a recitare, al punto di risultare nettamente migliore quando è completamente ricoperto dalle piaghe; la faccia fastidiosa di Danny Huston, qualsiasi personaggio interpreti; la prostituta che quasi vomita addosso al mostro quando vede il suo enorme Schwanstück devastato dalla malattia; la sirena della polizia, che arriva due secondi dopo un omicidio; Carrie-Anne Moss che prende a vassoiate in testa Danny Huston. Frankenstein avrebbe dovuto essere una rivisitazione completamente diversa di un classico già saccheggiato più e più volte, in mille salse: comiche, horror, commedia. Volevano evidenziare come un corpo possa essere creato e porre l'accento su un altro aspetto: l’anima e la coscienza come lo sono, invece? Volevano mascherare di horror un concetto filosofico e invece il risultato è così brutto, fatto male e inutile da meritare un posto d'onore nelle nostre Buste, superando termini di paragone quali Game Therapy e avvicinandosi in modo clamoroso alla nostra pietra miliare, l'Anno Mille. Ma come ben sappiamo noi amanti del genere, la strada del trash è lastricata di film nati con grandi ambizioni: oggi una nuova mattonella va ad aggiungersi a questa strada affascinante, una mattonella stampata in 3D.
di Daniele Kinder Rea
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In questa recensione sono citati:
• Anno Mille
• Big Bang Theory
• Frankenstein Jr.
• Game Therapy
• Twilight
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