Game Therapy
«Mo te faccio vedé qual è il tuo posto»
Quattro Youtuber (o Tu-Tuberi, come direbbero gli amici di Feudalesimo E Libertà) sono rapiti dalle loro postazioni web: li incappucciano, li buttano in un furgone e li portano in una location misteriosa. Una volta liberati, si trovano davanti un tizio che offre loro una valigia piena di euro, dollari, yen e dobloni d’oro in cambio di un patto diabolico: vendere le anime dei propri follower al Dio dei film brutti.
Purtroppo, per chi lo ha visto, non è questa la vera trama di Game Therapy, il film con il quale alcuni degli Youtuber più famosi d’Italia, al secolo FaviJ, Federico Clapis, Leonardo Decarli e Zoda, ci fanno sprecare ben 97 minuti della nostra vita. Più di un'ora e mezza che personalmente avrei potuto impiegare meglio, facendo qualsiasi altra cosa: scommettere su quale foglia sarebbe caduta per prima dall’albero sotto casa, partecipare a un corso d'allevamento di bachi da seta per principianti o magari contare i miliardi di peli lasciati dal gatto sulla mia felpa nera, appena stirata. Invece, per lo spirito di sacrificio che mi lega a Nerdface (ma sopratutto per le birre che mi pagano), sono andato a vedere questo film in una sala gremita di ragazzini d'età compresa fra gli otto e i tredici anni, con genitori disperati al seguito. Per mimetizzarmi, ho portato con me il mio amico e collega Giordano Muraglia, gli ho infilato una maglietta di Adventure Time e spada di Minecraft e l’ho spacciato per mio nipote. Avrebbe funzionato perfettamente, se non si fosse messo a importunare le mamme in sala, gridando «#escile!».
Ma torniamo a Game Therapy. I protagonisti sono Francesco (FaviJ), un disadattato sociale, vittima dei bulli a scuola e alla ricerca attraverso i videogame di una fuga dalla vita reale (in pratica un normalissimo teenager) e Giovanni (Clapis), un trentenne che finge d'essere ventenne talmente male, da rimpiangere Luke Perry e il suo Dylan di Beverly Hills 90210, il quale soffre di un deficit d'attenzione e di una gran voglia di figa mai consumata (in pratica un normalissimo ventenne). Entrambi sono continuamente portati dai rispettivi genitori a visite con specialisti e psicologi e questi li riempiono di pillole per aiutarli a superare i loro problemi. Dopo diverso tempo, Francesco, usando non si sa quale software che riempie lo schermo di scritte e testi scorrevoli e battendo a caso i tasti della tastiera, trova alcune coordinate all’interno di un videogame creato da Holden Latter, il più grande programmatore della storia videoludica, scomparso da diversi anni: se qualcuno di voi sta pensando a Player One di Ernest Cline, preparatevi a piangere come ho fatto io. Le coordinate conducono a uno scantinato polveroso, dotato di due poltrone da dentista e quarantacinque monitor, dove, grazie a un saldatore e a un martello, i due costruiscono la più sofisticata macchina di realtà virtuale mai esistita.
Vi prego, non fate domande.
Dopo aver convinto l'amico a provare il macchinario, con la validissima argomentazione di un'alternativa alle cure mediche somministrate loro, danno inizio alla Game Therapy. Francesco controlla il gioco dall’esterno, modificando codici e parametri dalla console, mentre Giovanni, collegandosi alla sola sedia da dentista funzionante, è catapultato in vari videogame molto famosi, mai citati apertamente per non pagare i diritti alle software house. Nel caso faticaste a riconoscerli, non preoccupatevi, ci pensarà il coretto all’unisono dei bimbetti in sala a renderveli noti: Assassin’s Creed, GTA, Uncharted e un gioco di guerra X diventano la realtà virtuale dentro la quale il nostro eroe darà sfogo a gag imbarazzanti e battute scartate persino dai film dei fratelli Vanzina, indossando costumi così brutti, ma così brutti, che alla prima del film 185 cosplayer sono morti e altri 400 sono entrati in terapia.
Nel frattempo, nella vita reale Francesco continua a battere tasti a caso e a guardare con espressioni vaghe schermate e schermate di linee di testo in DOS, cercando nuovi metodi per proteggere l'amico nella realtà virtuale dagli attacchi di una misteriosa identità digitale ammantata. Misteriosa solo per un bambino o per chi dormiva già nei primi cinque minuti di film, s'intende. Invece Giovanni, da sfigato drogato di energy drink qual è, si trasforma in rimorchione e conquista la sua compagna di classe Danika, una ragazza con duemila problemi e con una gran voglia di divertirsi. E dunque arriva l’antico dilemma, da sempre sulle spalle dell’umanità maschile: passare la serata a giocare insieme all’amico, oppure perdersi fra le gioie e i carpiati del coito sfrenato con la tipa? E qui scatta la scena di sesso, con enorme imbarazzo di una sala dall’età media che a fatica supera le due cifre: ho visto ergastolani nerboruti guardare in maniera più casta un paio di tette, rispetto al gruppo di ragazzini nella fila avanti la mia, al punto da invocare la proverbiale secchiata d'acqua gelida.
Poi, fra un buco di sceneggiatura e l’altro, un dialogo senza senso, una serie infinita di marchette ai prodotti Carrefour e personaggi apparsi sei secondi giusto per avere il cestino del pranzo dalla produzione e il nome nei titoli di coda, Danika prima se ne va e poi torna ma non s'accolla più, il bullo smette di bulleggiare, Francesco scopre il modo d'ottenere il controllo totale del gioco e trasferire la sua coscienza per sempre al suo interno. Così, insieme all’amico, nel frattempo guarito dalla sindrome del deficit d'attenzione (merito del sesso o della Game Therapy?), l'altra poltrona da dentista è riparata e i due possono entrare in tag team per sconfiggere il cattivone di turno. Ok, non svelerò chi è, magari c’è qualche bambino tra i nostri lettori.
Ma avevamo parlato di ben quattro Youtuber, invece ne ho nominati solo due. Già, perchè Zoda e Decarli fanno solo una piccola parte, grazie al cielo visto come recitano, e lasciano la scena solo a Favij e a Clapis. E alla Carrefour: sì, perché la catena di supermercati ha più spazio all’interno di Game Therapy rispetto alla maggior parte degli attori annunciati sulle locandine, un product placement veramente invasivo. Ci sono situazioni in cui i prodotti alimentari sono messi in primo piano e gli attori sono totalmente fuori inquadratura, quando invece non mettono in evidenza merendine e succhi di frutta come la migliore delle letterine di Gerry Scotti. Ma pure quando si tratta d'essere veicoli di pubblicità, tutti si caratterizzano per una recitazione veramente imbarazzante. Certo, va spezzata una lancia in loro favore. Non sono attori e sfido chiunque a rifiutare l’opportunità di avere una parte in un film, qualora gli fosse offerta, però credetemi: sono inguardabili, in molti casi è incomprensibile anche quanto dicono e, se proprio vogliamo dirla tutta, in quei momenti sei felice, data la banalità e la stupidità della sceneggiatura. I costumi, poi, sono terribili. Se qualcuno si presentasse così in una qualche fiera, non riuscirebbe a ottenere nemmeno lo sconto sul biglietto d’ingresso. Per darvi un idea: è come se per fare il costume di Batman usassi una bustona della spazzatura nera per il mantello e il cappello tarocco della Nike comprato al mercatino con attaccate le orecchie di cartone. Ancora rido pensando all’ascia a due mani che si vede verso la fine del film. Poi mi rendo conto d'averlo visto tutto.
Ridatemi i 97 minuti di vita che mi avete rubato.
di Daniele Kinder Rea
Facebook
Twitter
Instagram
In questa recensione sono citati:
• Assassin's Creed
• Beverly Hills 90210
• GTA
• Minecraft
• Player One
• Uncharted
Leggi anche le altre recensioni