JCVD
Iconografica figura dei film di arti marziali, Jean-Claude Van Damme al cinema ci è arrivato per scelta e forse senza l'adeguata preparazione. Non ci riferiamo a quella sportiva, ovviamente, ma a quanto fa, o dovrebbe fare, da contorno alla vita dell'attore professionista e che lo sportivo ha forse imparato a sue spese, nel corso della sua lunghissima carriera. Le arti marziali, invece, quelle sì, lo coinvolgono fin da giovanissimo, tanto che inizia a studiarle poco più che dodicenne e fino ai diciotto anni si perfeziona, non disdegnando nemmeno di prendere lezioni di danza classica, al fine d'aumentare l'elasticità muscolare. Sarà un'esperienza utilissima, quando dimostrerà un'apertura di gamba che nemmeno la Parisi ai tempi di Fantastico, ben rappresentata, con grande ironia, in un celebre spot della Volvo. La vita di Jean-Claude Van Damme sembrava già indirizzata, quando a ventun anni è scritturato in un film francese: in lui scatta la molla che lo porterà, in breve tempo, a vendere tutto per trasferirsi a Los Angeles. Iniziano anni di fame vera e di povertà pressoché assoluta.
Il mondo del cinema lo fa entrare poco alla volta, infatti, prima come comparsa, poi come stuntman in Rombo di Tuono, con Chuck Norris finalmente, nel 1986 gli è affidata la parte del cattivo in Kickboxer: Vendetta Personale. Da lì in poi Jean-Claude Van Damme entra di diritto nel mondo dei film di arti marziali sebbene molte volte il suo carattere esuberante lo porterà a veri scontri sul set. Il primo problema risulta evidente a molti registi: l'attore non sa dosare bene i colpi, alla ricerca di un realismo che più volte metterà a rischio la salute dei suoi partner. Come accadrà durante le riprese di Cyborg, in occasione del quale uno degli stuntman arrivò a perdere un occhio, danno attribuito anche in sede processuale all'incapacità di Jean-Claude Van Damme di trattenere la sua forza. Durante il processo furono decisivi anche alcune dichiarazioni rilasciate alla stampa dallo stesso attore, nelle quali ammetteva candidamente d'usare tecniche vere e di portarle a compimento. Se non ci fossero altri casi documentati si potrebbe pensare a semplice attività di promozione della sua figura e dei suoi film, ma purtroppo segnalazioni della sua irruenza arrivano un po' da tutte le produzioni cui prenderà parte, anche in qualità di regista. Altra nota negativa arriva, poi, dalla sua turbolenta vita privata, caratterizzata dall'abuso di alcol e cocaina. A darne testimonianza decisa è il regista Steven De Souza, che lo diresse in Street Fighter e che lamentò il suo essere fuori controllo, al punto da presentarsi in ritardo o per nulla alle riprese. A onor di cronaca, lo stesso Jean-Claude Van Damme ha affermato più volte di soffrire di disturbo bipolare. Fatto sta, che però nemmeno dalle accuse di molestie sessuali l'attore è stato graziato e ha dovuto pagare un risarcimento a una ragazza, che lo aveva accusato d'averla «aggredita sessualmente» durante le riprese di Senza Tregua.
Una vita, quella di Jean-Claude Van Damme costellata dunque di eccessi e di zone d'ombra, senza esclusione di colpi, per citare uno dei suoi film più noti. Lo stesso attore ne ha raccontati molti in un film sottovalutato ed estremamente particolare. Si tratta di JCVD, presentato nel 2008 al Festival del Cinema di Roma e da egli stesso prodotto. La pellicola lo vede nel ruolo di se stesso, un attore malconcio e pieno di debiti, intento a cercare di vincere la battaglia legale per l'affidamento della figlia; una volta tornato nel suo paesino d'origine per leccarsi le ferite, finirà per essere coinvolto in una rapina in banca. Nel film, Jean-Claude Van Damme è un ostaggio di lusso, data la sua notorietà, e i rapinatori ne fanno il mediatore con la polizia. Si tratta, però, solo di uno spunto narrativo, per permettere all'attore di ripercorrere la sua vita, i successi e soprattutto gli errori, le esuberanze e le molte opacità. A cuore aperto, Jean-Claude Van Damme colpisce come mai fatto prima, lasciando lo spettatore stordito, in bilico tra l'amaro e la pietà. JCVD è probabilmente il suo film migliore, pur non essendo una pellicola di arti marziali: serve a fare pace con se stesso e probabilmente anche con noi, pubblico testimone delle tante, troppe sbandate. E la sua carriera riprenderà con uno slancio nuovo, fino a portarlo al ruolo d'antagonista nel secondo capitolo dei Mercenari di Sylvester Stallone.
Lo sguardo duro da bulletto del tatami e gli occhi spiritati di chi ha ceduto a troppi eccessi sono una sua costante nei film, moltissimi davvero trash, bisogna ammetterlo. Vederlo finalmente indossare una maschera drammatica, autoironica e autocritica (o togliere quella con cui ci aveva abituato da sempre, scegliete voi) ha fatto bene a tutti. Non a caso, il regista di JCVD, Mabrouk El Mechri, era un grande fan dell'attore e voleva in qualche modo scollarlo dalla figura d'action hero, che egli stesso s'era cucito addosso. La storia di Jean-Claude Van Damme dimostra quanto sia facile adagiarsi sulla fama, sfruttando quanto si sa fare bene senza però perfezionare tutto il resto. Film quasi tutti uguali, non a caso spesso finiti in direct-to-video, senza passare dalle sale, hanno nascosto il suo talento, grezzo e squadrato come la sua mascella, ma ben presente come il suo proverbiale calcio rotante e si sono sommati alle intemperanze da primadonna. Siamo contenti che il percorso di Jean-Claude Van Damme abbia trovato una soluzione positiva, corretta per un'icona del cinema d'azione e fonte d'ispirazione per molti spettatori e praticanti di arti marziali.
di Alessandro Sparatore
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