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L'avenir: le Cose che Verranno
«Si può fare a meno d'essere felici»
La mano leggera di Mia Hansen-Løve è probabilmente l'unica capace di narrare L'avenir: le Cose che Verranno, il film vincitore dell'Orso d'Argento a Berlino. Tutti quelli che vorranno descriverlo, invece, dovranno ricorrere ad artifici, tracciare confini, tradire il fluido scorrere della pellicola. Sarà che la magistrale Isabelle Huppert, camminando le gambe goffe della protagonista, seduce i Critics' Award Choice di Londra 2017, saranno le melodie di Schubert insieme a quelle di Woody Guthrie e di Donovan, o sarà ancora la scelta registica di mettere da parte ogni espediente visuale per catturare l'attenzione: niente ne L'avenir: le Cose che Verranno è definito tout court. La storia c'è: Nathalie è una professoressa liceale che svolge il suo mestiere con puntualità e dedizione, ma nella sua vita privata la madre ha una grave depressione e la chiama nel cuore della notte. Il marito Heinz, professore rigoroso e stimato nell'ambiente accademico, inaspettatamente la tradisce. I due figli e, ancora di più, l'ex studente Fabien chiedono più o meno esplicitamente un continuo confronto con lei. Infine, la gatta Pandora esige un'educazione dopo anni d'autarchia. Ma se facessimo una recensione a partire dall'intreccio, probabilmente finiremmo per raccontarci un'altra storia.
Nathalie pare trovarsi su un altro livello narrativo e raramente s'accorge che gli altri non percorrono la sua stessa strada: «Mi sembri improvvisamente ingenuo», dice a Fabien; «Sveglia, sei su un altro pianeta!», ad Heinz; «Lo sapevano tutti tranne te [che Chirac fa l'amore con gli stivali]», le dice la madre. Le cose succedono, certo, ma la professoressa non è così sprovveduta d'aver mai creduto d'esserne esente. Al contrario, ha già fatto i conti con l'anarchia, con quelle passioni politiche che animano i ragazzi della sua scuola e del collettivo di Fabien, con i Minima Moralia e con Il Perdente Radicale, insomma, con Il Mondo come Volontà e Rappresentazione. E certamente la sua non è una cinica consapevolezza: sente «quell'odore, odore di morte!», ascolta Deep Peace e s'interroga sulla musica folk. Le sensazioni sfuggono alla riflessione, hanno la cattiva abitudine di dover essere vissute e della vita privata, come di quella emozionale, per costituzione non si parla. Non nella filosofia pratica a noi più nota, almeno. Questa è dominata da precetti che scandiscono l'esistenza dall'esterno, da moniti, come quello kantiano tanto caro al marito: «Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me», sottolineato con leggerezza da Nathalie durante un pranzo insieme a Fabien e la famiglia.
A Nathalie, invece, tutto quanto appartenga alla dimensione dell'esteriore, della mera copertina, semplicemente non interessa; i discorsi che le fanno i due esperti di marketing sui suoi libri scivolano, non senza espressioni di disgusto, nello spazio personale dell'oblio e dell'insignificanza. Quando Nathalie in una delle prime scene del film dice «fa male agli occhi!», non intende mica dare importanza al fattarello da vicinato che le hanno raccontato, al contrario: è così insulso, che persino gli occhi, fra i sensi quello più abituato alla percezione violenta, provano dolore. A far male è il paradosso di una leggerezza degradante. L'insegnante di filosofia non comunica come siamo abituati a fare nell'esperienza quotidiana e questa è forse la sua debolezza più banale. Lo stesso errore di molti filosofi che una lunghissima letteratura definisce appunto bizzarri, distratti, a volte persino profondamente disinteressati. E tutte le donne rilevanti della pellicola sembrano a diversi gradi possedere la stessa incapacità comunicativa: la figlia piange all'improvviso e non ne dà spiegazioni e così l'eccentricità della madre potrebbe non essere una coincidenza drammatica.
Tutto L'avenir: le Cose che Verranno è dominato dall'idea che la comunicazione della protagonista avvenga realmente attraverso i libri, il solo linguaggio con cui veramente riusciamo a comprendere ciò che lei vuol dire. Certo, il discorso funziona finché siamo in grado di leggere. Altrimenti siamo tutti la gatta Pandora, che si allontana una notte senza il permesso della protagonista e finisce per essere affidata ad altri. Ma così guarderemmo il film accontentandoci di dire che Nathalie è solo il personaggio che viene fuori dall'immagine che la regista ha di sua madre e finiremmo per perderci quanto, forse non intenzionalmente, Mia Hansen-Løve riesce abilmente a mostrare. Per questo L'avenir: le Cose che Verranno è una pellicola impossibile da descrivere dalla terza persona. È un'esperienza che si realizza con la nostra presenza e che, fin dalla sua progettazione, pare suggerirci quella citazione di Rousseau che sposta la felicità al desiderio della sua visione.
di Roberta Toffee Cordaro
In questa recensione sono citati:
• Minima Moralia (libro)
• Il Mondo come Volontà e Rappresentazione (libro)
• Il Perdente Radicale (libro)
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