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Sempre caro mi fu quest'ermo folle
Continuo a ripetermi quanto fossero belli gli anni del VHS e dei primi videoregistratori. A casa mia fu acquistato piuttosto in ritardo rispetto agli amici, ma fu subito amore a prima vista. Insieme al suo arrivo, iniziò per me un rito perdurato fino alla definitiva morte di Blockbuster (quanto mi manca!), cioè la visita settimanale alla videoteca sotto casa, per l'affitto di un film da gustare con la ciotolona di pop corn stracolma. Una delle prima cassette affittate fu proprio Interceptor, prima pellicola della tri(tetra)logia di Mad Max. Uscito nel 1979, con un giovanissimo Mel Gibson come protagonista, Interceptor era una sorta di poliziesco post-apocalittico. Quando lo vidi, ero già un accanito fan del filone distopico e non poteva non piacermi. Gli inseguimenti, le auto esagerate, i personaggi assolutamente fuori dagli schemi, se non spostati decisamente al grottesco, la visione intera che permeava tutto il film lo resero uno dei miei cult. Ovviamente non solo per me.
Tale era stato l'effetto d'Interceptor e la voglia d'averne ancora, che la settimana successiva ero nuovamente in videoteca ad affittare il secondo e pure il terzo film della saga. Rispettivamente: Interceptor: il Guerriero della Strada e Mad Max: Oltre la Sfera del Tuono. La seconda pellicola, uscita nel 1981, riprendeva e ampliava i temi del primo. Max, ormai Mad dall'epiteto che gli affibbiava il suo antagonista alla fine del primo film, è il simbolo stesso di un mondo andato ostinatamente avanti, nonostante tutto. Se nel primo capitolo, infatti, Max Rockatansky è un poliziotto a tutti gli effetti e incarna quanto resta di legge e ordine (poco), nel secondo la sua Main Force Patrol, che si occupava di pattugliare le strade e arrestare i criminali, non esiste più. Legge e ordine sono spariti e Mad Max non è più nulla, se non un uomo alla disperata ricerca di benzina per la sua V8 Interceptor. Un uomo perso e alla ricerca di una strada, la cui destinazione è ignota e forse nemmeno gli interessa poi tanto saperla. Ispirato alle atmosfere western di Sergio Leone, questo secondo film, per me, è il più riuscito ed è stato tra le fonti d'ispirazione per quasi tutto quanto è venuto dopo in termini di ambientazioni post-apocalittiche, da Ken il Guerriero a Fallout. In Interceptor: il Guerriero della Strada, Mad Max s'accompagna a un cane del tutto simile a quello della fortunata saga videoludica targata Bethesda.
Il deserto australiano è uno scenario perfetto per il senso d'abbandono che il visionario regista George Miller vuole farti provare e tutto sembra dirti: «Stai attento, questo mondo è diventato più duro e non c'è più spazio per pietà e altruismo. Carica tutta la benzina che puoi e corri. Non c'è un dove, solo, corri!». E Mad Max è silenzioso per tutto il film, ferito, sconvolto. Un uomo solo che ha perso tutto, destinato a perdere anche la sua macchina, l'ultimo retaggio della vita precedente. Il guerriero della strada combatte ormai solo per se stesso e non sembra avere più spazio per l'affetto. Con un budget decisamente più alto del primo Interceptor, il secondo film riesce a fare molto meglio e il finale aperto fa ben sperare per un seguito, che arriva puntuale nel 1985. Mad Max: Oltre La Sfera Del Tuono aggiunge un pezzo alla leggenda di Mad Max, ma è il film che m'è piaciuto meno tra i tre. Non serve la presenza di Tina Turner e la spettacolare scena nel Thunderdome, arena dove la legge impone di combattere fino alla morte. Se anche è ridata a Mad Max una certa componente umana, il resto del film risente troppo dello stile anni '80 e l'effetto che mi restituisce è troppo poco coinvolgente.
Dopo il terzo film, pensavo che fosse tutto finito e che la storia di Mad Max fosse ormai uno di quei ricordi da portarsi dentro, senza poter aggiungere altro. Ci ha pensato ancora George Miller a farmi ricredere, pochi mesi fa, con una pellicola tra le migliori, se non la migliore del 2015. Mad Max: Fury Road esce con un carico di aspettative infinito. Dopo così tanti anni, non m'aspettavo nulla di buono: se è un remake, sarà l'ennesimo fuori tempo; se è un sequel, spero di non trovarmi di fronte a qualcosa di già visto e di stanco. E invece Mad Max: Fury Road si rivela forse il miglior capitolo della serie, capace di riprenderne i temi portanti e d'ampliarli. Ci vuole un regista perfettamente consapevole per gestire un film di più di due ore girato tutto sulla strada e George Miller fa il suo mestiere particolarmente bene.
Ritorna il grottesco, il distopico e il post-apocalittico; torna la sete, di benzina per le auto, d'acqua per le persone; tornano gli elementi classici, come un protagonista vittima degli eventi, non particolarmente incline ad aiutare gli altri, ma che si lascia coinvolgere fino a mettere la propria vita a rischio. Il volto di Mad Max è affidato a Tom Hardy, che non ci fa rimpiangere Mel Gibson; il ruolo del vero motore del film, l'Imperatrice Furiosa, a Charlize Theron. Ma sono i cattivi a rendere l'esperienza coinvolgente ed emozionante: Immortal Joe e i suoi Figli della Guerra in primis. Tra blindocisterne, assoli di chitarra, incidenti e inseguimenti su e giù per il deserto, tra tempeste di sabbia e predoni, Mad Max: Fury Road è uno spettacolo per gli occhi e per la mente di chi, come me, ricorda ancora i primi due capitoli con molto affetto. Non è propriamente un sequel e nemmeno un remake, è semplicemente un episodio in più della vita di Mad Max e, seppure abbiamo dovuto aspettare tanto, ne è valsa la pena. «What a lovely day!».
di Alessandro Sparatore
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