I care a lot
«Fidatevi, non esistono brave persone»
Per Marla Grayson (Rosamund Pike) non ha senso comportarsi bene. Il mondo è fatto di prede e predatori e l’unico modo per sopravvivere è appartenere al secondo gruppo. Questo potrebbe significare non rispettare la legge o il buonsenso, ma a Marla poco importa. Accecata dalle sue ambizioni e dalla sua sete di potere e denaro, ormai da anni dedica la sua vita alla truffa. Le sue vittime sono anziani, spesso facoltosi e se possibile senza familiari ancora in vita. Grazie all’aiuto di medici e tribunali, sono decretati incapaci di prendersi cura di se stessi e Marla riceve l’incarico di loro tutrice legale, ottenendo così una via d’accesso privilegiata alle loro proprietà e finanze.
Un giorno, Dr. Amos (Alicia Witt) propone alla donna e alla sua partner, Fran (Eiza González), un nuovo target. Si tratta di Jennifer Peterson (Dianne Wiest), che sulla carta appare come una fonte facile e a dir poco infinita di denaro, ma purtroppo per le truffatrici si rivelerà presto forte del legame col perfido Roman Lunyov (Peter Dinklage).
I care a lot, film di J Blakeson (La Quinta Onda), sembra un’operazione studiata a tavolino per sfruttare l’immagine di Rosamund Pike, conosciuta al grande pubblico soprattutto per aver interpretato Amy Dunne in Gone Girl. Se le due si assomigliano nella freddezza e nella strategia, il paragone non fa che evidenziare la debolezza della scrittura di J Blakeson: Marla non è niente di più della sua perfidia, non venendo mai davvero sviluppata come personaggio mossa da un movente. Persino i suoi traffici criminali, che dovrebbero essere centrali nella narrazione, sembrano presto passare in secondo piano nel film, per lasciare spazio a villain quasi fumettistici, appartenenti alla mafia russa, una delle molte scelte pigre della sceneggiatura.
Tra linee narrative dapprima dimenticate, ma che tornano trionfali sul finire del film, e cambi di registro troppo repentini, I care a lot, disponibile da pochi giorni su Prime Video, è un thriller che vorrebbe essere una commedia (e viceversa), ma finisce per non essere nessuno dei due, cadendo quasi sempre in banali topoi del genere. È un mondo dove non esistono persone buone. Eppure, verso la metà della storia Marla diventa per J Blakeson una normale eroina e non più un nuovo prototipo di antieroina. Ogni tanto si intravedono alcuni frammenti di quello che sarebbe potuto essere un grande film, come alcune scelte di casting azzeccate, un’attenzione speciale a tutti i reparti della produzione e qualche spunto nella trama. L’unico peccato è che siano rinchiusi in una prigione di scelte sicure e mai audaci, come invece il personaggio stesso di Marla Grayson avrebbe richiesto.
di Giada Sartori
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In questa recensione sono citati:
• Gone Girl (film)
• La Quinta Onda (film)