Stardust
«Tu credi in te stesso?»
Gabriel Range non vuole ingannare il pubblico accorso in sala per vedere il suo Stardust, biopic su David Bowie che sarebbe dovuto essere presentato al Toronto Film Festival ma che, a causa della pandemia, ha visto la sua anteprima internazionale alla 15ª edizione della Festa del Cinema di Roma. Il regista inglese vuole, sin da prima dei titoli di testa, chiarire che «quello che segue è (quasi tutto) finzione». I fan di David Bowie potrebbero restare delusi. Chi si aspettava di vedere Ziggy Stardust sul grande schermo potrà pensare d'aver sbagliato sala, perché il protagonista di Stardust non è il Duca Bianco, né il suo alter ego degli anni '70. Semplicemente, è David, un ragazzo che, nel 1971, quando prende avvio la storia narrata nel film, quasi non ricorda più che il suo cognome sia in realtà Jones, eppure non si trova ancora pienamente a suo agio con quel Bowie scelto come nome d’arte. David vuole fare musica, ha bisogno d'esprimersi attraverso le note, protetto dalla sua chitarra e col microfono ad amplificare la sua voce.
Space Oddity fu un successo assoluto, sia in Inghilterra che in America, ma lo stesso non sta succedendo col suo secondo album. Mercury, etichetta che per prima volle credere in quell’eclettico cantante inglese, ammette di non sapere come riuscire a promuovere un disco come The man who sold the world, troppo poetico, troppo melanconico e triste per il mercato d'allora, troppo diverso da quanto David Bowie aveva proposto per il suo pubblico. David (l’attore Johnny Flynn, perfetto nell’interpretare la delicatezza dei lineamenti della prima fase del cantante) e la moglie Angie (una meravigliosa Gena Malone, che già avevamo visto in Hunger Games, ma che qui gode di un’intensità interpretativa che ancora non aveva avuto occasione di mostrare pienamente) insistono affinché la casa discografica organizzi un tour americano. Ed è così che David parte per Washington, speranzoso di poter dimostrare definitivamente al panorama musicale che sia lui l’autore che potrebbe «coprire il gap tra Elvis e Dylan».
La realtà sarà diversa. Nonostante gli sforzi di Ron, suo agente americano, David si troverà a scoprire non solo di non essere amato dal pubblico statunitense, ma nemmeno d'essere compreso. Cercherà di farsi forza, ricordando le ultime parole pronunciate dall’amato fratello Terry, parlando della sua musica e dei scarsi riscontri ottenuti dai suoi ultimi singoli: «È arte, non deve piacere a tutti». Ma si ritroverà a suonare in convegni di commessi viaggiatori, tra aspirapolvere e motel d'infimo ordine. Capirà che fosse vero quanto detto dal suo agente, sull'incapacità di capire come vendere la sua musica in America. Il suo essere dichiaratamente bisessuale, l’insistere sull’indossare abiti femminili, l'essere scurrile e forzatamente provocatorio in pubblico lo rendono indigesto a una comunità ancora così perbenista e tradizionalista come quella dell’America degli anni '70. David esprime la sua frustrazione nelle telefonate intercontinentali con la moglie, in cui traspare la sua lotta tra egocentrismo e paura dell'oblio.
Stardust non è un film su uno dei più grandi rappresentanti della musica internazionale. Sono solo brevi gli accenni della sua prima discografia: il focus è tutto sul concetto di follia. Sulla paura dell’uomo d'esserne colpito e sul suo modo di cercare di farvi fronte. Quel «seme cattivo» cui David si sente condannato dai casi di schizofrenia che hanno colpito la famiglia, prima la nonna materna, poi tre zie, una delle quali a uno stato così incontrollato da subire una lobotomia, per arrivare a colpire l’adorato Terry, di cui David cerca di rimanere confidente e che continua a sostenere a ogni ricovero forzato in manicomio. Questa paura lo trascinerà in una spirale di vergogna e terrore, portandolo a credere che il solo modo per poter essere se stesso sia interpretare qualcun altro. Da qui, dall'angoscia derivata dal costante tentativo di sfuggire a un destino di malattia mentale, nascerà Ziggy Stardust, il personaggio che permetterà allo spaventato David Jones di diventare il carismatico David Bowie, che tutti abbiamo imparato a conoscere. E, non a caso, in Stardust lo conosciamo solo nella scena finale, perché il resto è storia, della musica.
di Joana Fresu De Azevedo
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In questa recensione sono citati:
• Hunger Games (film)