The Revenant
«Dio è uno scoiattolo»
Quale fine faccia lo scoiattolo in questione, lo lasciamo scoprire a quanti andranno a vedere The Revevant, ultimo film di Alejandro González Iñárritu, candidato a ben 12 premi Oscar. Si può dire, però, come il destino dell'animaletto, la cui storia è raccontata da Tom Hardy al chiarore di un fuoco da campo e il cui personaggio è molto più Mad del suo Max, racchiuda la visione del regista di Birdman sulla natura, sull'uomo e su un periodo storico molto cruento, l'inizio '800 americano. Come se ne fossero esistiti di sereni e tranquilli, ma questo è un altro discorso. The Revenant, tratto dal libro omonimo edito nel 2003, è parzialmente ispirato alla vicenda che vide protagonista il cacciatore di pelli Hugh Glass: è interpretato da Leonardo DiCaprio, la cui corsa all'ambita statuetta dorata è il tema capace d'oscurare qualsiasi discussione sul film. Per descrivere le condizioni di vita durissime di quanti si cimentavano per necessità in tale occupazione, il regista ha puntato sull'estremo realismo delle riprese. Così, narrano le cronache, non solo cast e tecnici di produzione hanno dovuto lavorare in condizioni ambientali e climatiche estreme per sfruttare unicamente la luce naturale, anche quando le temperature raggiungevano 40 gradi sotto lo zero, ma anche alcuni dettagli hanno fatto a meno di computer grafica, post-produzione o recitazione. Dunque, The Revenant è un film crudo e sanguinoso, come il vero fegato che Leonardo DiCaprio è stato costretto a mangiare; estremo come la bronchite e la febbre che lo hanno afflitto realmente a causa dell'esposizione al gelo; pesante (a volte) come i 45 chili di pelliccia che il nostro ha dovuto indossare; ghiacciato e inospitale come i fiumi nei quali molti attori sono stati costretti a nuotare. A tal punto, da convincere parte di una troupe evidentemente esausta ad abbandonare il set in corso d'opera, si dice.
La storia muove da un feroce attacco subìto dai cacciatori a opera degli indiani Ree: si è subito precipitati in un mare di sangue, tra frecce conficcate in teste, gambe mozzate da colpi d'ascia e, ovviamente, scalpi esibiti con grande giubilo. La scena è potente, piena d'azione e di movimento, capace di precipitare gli spettatori in un clima d'incertezza e d'angoscia. Rappresenta una sorta di dichiarazione d'intenti su quanto dovremo aspettarci da The Revenant. Perché la vita valeva poco in quelle zone, meno di ogni pelle commerciata: il messaggio arriva forte, più della descrizione geopolitica di quei tempi, nel quale gli uomini saccheggiarono le risorse naturali in modo irreparabile, sfruttando le tribù indiane storicamente nemiche e stringendo alleanze diseguali, in un tutti contro tutti. Ma è un tema relegato al sottofondo, mentre tutto il film ruota sulla lotta per la sopravvivenza. E sulla vendetta. I pochi superstiti, infatti, saranno costretti alla fuga e braccati dal nemico. Guidati da Glass, dovranno affrontare un impervio percorso all'interno dei boschi, per evitare d'essere esposti e accerchiati lungo il corso fluviale, via maggiormente rapida per raggiungere il loro accampamento e trarsi in salvo. Emergono le contrapposizioni, alimentate dalla presenza del figlio meticcio dell'esploratore, avuto da una donna indiana. A gettare scompiglio e sospetti ci pensa John Fitzgerald, un avido e pazzo cacciatore di pelli, affidato agli sguardi sbiechi di un Tom Hardy eccezionale, certamente non meno meritevole di Leonardo DiCaprio di vincere un qualche riconoscimento. L'occasione per liberarsi di padre e figlio arriva dopo l'ormai celebre sequenza dell'attacco del grizzly contro la guida, rimasta solo in avanscoperta. Preparatevi: nulla di quanto abbiate già letto su come sia stata realizzata sarà in grado di descrivere la ferocia e la brutalità con la quale mamma orsa rivolterà il malcapitato come un pedalino, procurando ossa rotte e lacerazioni profonde nella carne. Altro che Masha. Ridotto a trito da ragù e vivo per miracolo, il nostro eroe sarà abbandonato dai suoi e assisterà impotente pure all'omicidio dell'amato e unico figlio. Perché la Legge di Murphy è costante storica, mica è roba recente.
The Revenant segue la sua incredibile lotta per la vita, alimentata dal desiderio di vendicarsi. Come ovvio, gliene capiteranno parecchie, ma riuscirà sempre a cavarsela: roba da far impallidire e ridicolizzare Bear, veramente un pivello a confronto. E c'è pure spazio per un momento Star Wars e a un altro in stile Rambo: faranno accapponare la pelle ai deboli di stomaco. Il film è tutto un alternarsi di nuove sfide ed è incastonato in una natura selvaggia e inospitale, la vera protagonista assoluta. La fotografia è splendida, tra stretti primi piani di foglie custodite nel ghiaccio e ampi panorami di cime innevate: e giustamente National Geographic ha intelligentemente pensato a un documentario dedicato ai luoghi immortalati dal girato.
Dove The Revenant pecca è nella lunghezza: risulta un po' lento, in certi passaggi ridondante, e si ha la sensazione che Iñarritu, consapevole della sua indubbia bravura e di un linguaggio cinematografico ben riconoscibile e superiore alla media, indugi e si compiaccia troppo di se stesso, rimirandosi allo specchio. È un peccato. Ne risente il ritmo complessivo del film, splendido per impatto visivo, ma un po' ostico e ripetitivo nello svolgersi dell'intreccio. Quanti Oscar vincerà lo scopriremo tra poco tempo ed è interessante notare come Leonardo DiCaprio e Tom Hardy avranno tra i loro concorrenti Matt Damon, anch'egli impegnato nella dura prova di sopravvivenza in The Martian. Vedremo chi venderà più cara la pelle e se la giuria privilegerà il bianco delle montagne al rosso delle terre aride marziane.
di Ludovico Lamarra
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