Amor ch'a nullo amato
Correre sui tacchi al centro di Roma è un’impresa da equilibrista, oltreché da sprovvedute. Ma oggi proprio non posso farne a meno. È un giorno importante. Marco, il mio collega, è già lì. È stato tutto così improvviso… Con una breve telefonata, mi ha annunciato una chiacchierata sperimentale con Richard Gere! Abbiamo appuntamento alle 9 in punto, a un bar in piazzetta a Monti. Chiudo la telefonata e sono già per le scale. Ma cosa avrà voluto dire? Perché sperimentale? Mi gira la testa. L’uomo che quarant’anni fa è stato consacrato dalle donne dell’intero pianeta un indiscusso sex symbol, grazie al suo charme e alla sua sensualità, oggi ci parlerà di American Gigolò.
Quasi m'addobbo per strada, ma arrivo puntuale; sudata e scapigliata, ma integra. Al tavolo, però, c'è solo Marco: ha il PC collegato a una buffa scatola piena di luci, che pare uscita da una svendita natalizia. «Perché porti i tacchi?», mi chiede.
«Ma come, incontro Richard Gere e dovrei venire in ciabatte?».
«Ma che hai capito, mica viene veramente… Oggi inauguriamo SiDDI! Il nostro Simulatore Di Domande Impossibili! Cercando in rete tra milioni di contenuti e incrociando gossip, interviste e idiozie, ci aiuterà a sviluppare una conversazione verosimile con personaggi altrimenti inarrivabili. Per cominciare, ho pensato a Richard Gere, di cui sono da sempre un fanatico ammiratore. Siccome dobbiamo fare un pezzo su American Gigolò, l'ho inserito tra gli argomenti principali».
«Sono un po’ delusa, devo ammetterlo... E poi 'sto coso è strano. Funziona veramente? A che servono quei bottoni? Non è che adesso appare Richard Gere come un genio della lampada?».
«Spero che vada esattamente così! Ecco, SiDDI ha quasi finito d'incrociare tutte le informazioni, ci siamo».
E sullo schermo appare Richard Gere. È bellissimo, come solo lui è in grado d'essere immaginato. Si guarda intorno, sorride e, con un buffo accento italo-americano, inizia a parlare: «Buongiorno ragazzi! Mi fa piacere che abbiate pensato d'offrirmi un cappuccino!».
«Oddio, è proprio lui! Cioè, sembra proprio lui! Ho un milione di domande da fargli...», dico io, prima d'essere interrotta.
«Adoro l’Italia, mi fa sempre pensare all’amore. E poi siamo quasi a San Valentino, quindi mi avete chiamato per parlare di American Gigolò, d'amore e prostituzione».
«Ha davvero detto prostituzione?», dico a Marco, sconcertata.
«Bizzarro, ma non illogico. Si vede che le informazioni incrociate su American Gigolò hanno portato SiDDI a elaborare questo scenario», risponde lui.
«Mi piace, è un tema spinoso e attuale», incalza Richard Gere. «Come saprete, in passato l'ho abbondantemente sviscerato, declinandolo in differenti sfumature. Che ne pensate? Vi sono piaciuti i film che ho interpretato sull’argomento? Ero calzante? A pennello? Fuori dagli schemi? Provocatorio? Bellissimo? Empatico? Insomma, che impressioni vi hanno fatto?
«Forse è venuto un po’ logorroico… Chissà se il vero Richard Gere è proprio così?», bofonchia Marco.
«Certamente American Gigolò fu, per me, un film illuminante e sconvolgente allo stesso tempo», intervengo io. «Erano gli anni ’80 quando uscì nelle sale americane, ma io lo vidi la prima volta nel 1988. Poco prima dell’arrivo al cinema di Pretty Woman. Allora trovavo inconcepibile come donne ricche e affascinanti volessero pagare per andare a letto con un uomo, sebbene l’uomo in questione fosse un fico stratosferico, elegante, colto, poliglotta, super sexy e un amante dalle qualità eccezionali, con incomparabili capacità di soddisfare qualsiasi donna».
Penso, però, che a quarant’anni suonati il mio giudizio ha cambiato rotta, ma preferisco tenerlo per me. Marco, invece, fissa il vuoto. Sembra che stia ricostruendo nella sua mente un’immagine. Pare Homer Simpson. Poi rompe il silenzio: «A me di American Gigolò ha sempre colpito il torbido contrasto tra lo stile del personaggio e il mondo in cui si trova costretto ad annaspare. Vestiti firmati, grandi saloni, donne stupende e potentissimi cornuti sul suo cammino, pronti a ogni genere di ricatto. Durante l’adolescenza ho subìto il mito dell’uomo pagato dalle donne per offrire compagnia. Non un porno attore, un gigolò: una scelta molto più raffinata in cui, malgrado tutto, i sentimenti alla fine trovano il loro spazio».
«Per me il conflitto nasce proprio da quest'idea», intervengo io, soffocando a stento il moto d'ilarità che mi suscita il pensiero di Richard Gere e Marco a fare lo stesso mestiere del film. «In quegli anni, a livello sociale e di costume, la prostituzione maschile della figura del gigolò era percepita con connotazioni positive e d'ammirazione, mentre quella femminile era considerata denigrante».
Richard Gere sembra interessato. Ascolta tutto girando il cucchiaino nel suo cappuccino virtuale. Poi s'insaporisce le labbra nella schiuma, le asciuga garbatamente col tovagliolo e prende la parola: «E del ribaltamento del punto di vista avvenuto con Pretty Woman che ne pensate?».
«Personalmente ho preferito clamorosamente il secondo!», risponde velocissimo Marco. «Non solo per la brillantezza della vicenda o per il fascino irresistibile della protagonista, ma soprattutto per il percorso umano del personaggio. Ho sempre trovato Edward Lewis il terzo step del cammino iniziato da Julian in American Gigolò e proseguito da Zack in Ufficiale e Gentiluomo, dove a vendersi erano in un certo senso le ragazze che, a ogni nuovo giro di cadetti, cercavano senza troppe ipocrisie d'impalmare il futuro pilota di turno. Edward, invece, è un uomo che ha praticamente tutto: è ricco, bellissimo e temuto. Gli mancano solo l’amore e l’umanità. Ed è proprio il contatto con una prostituta raccolta per strada a fargli scoprire d'avere un cuore. Credo che, uno in fila all’altro, questi film rappresentino un meraviglioso trittico sentimentale sulle incredibili potenzialità dell’amore, capaci di redimere qualunque forma di cinismo».
Sono colpita. Prima sembrava Homer, ora Marco è diventato Lisa Simpsons. Dico la mia: «Anch'io scelgo il fascino della commedia romantica al thriller psicologico. Mettendo a confronto i due film, però, si chiarisce ancora di più il mio pensiero. In Pretty Woman lei lo salva dopo che lui l'ha salvata. Insomma, si salvano a vicenda. A pensarci bene, in American Gigolò le parti sono invertite. Mi chiedo se abbia senso questo doversi salvare a vicenda dalle scelte personali che all’altro possono sembrare sbagliate. Mi chiedo se non dovremmo accettarci e basta, amarci anche nelle scelte non condivise».
«Pensate che siano pellicole superate?», chiede Richard Gere.
«Non direi proprio», risponde prontamente Marco, ormai lanciatissimo. «Al contrario, sono ancora molto attuali e aiutano a mantenere alta l’attenzione su temi come lo sfruttamento, il ricatto, il libero arbitrio e la consapevolezza del proprio corpo. Probabilmente, è anche grazie al cinema se il giudizio sulle escort o sui diritti alla sessualità dei disabili possono essere affrontati oggi con maggiore apertura».
«Sono d'accordo! Anche grazie a questi film siamo arrivati ad affrontare questi temi superando molti pregiudizi e innestando la nuova cultura del libero arbitrio», incalzo io. «La società e i costumi hanno il dovere d'aprirsi ancora di più, uscendo dai soliti schemi che pongono uomini e donne sullo stesso piano, ma a livelli differenti di giudizio. Insomma, citando American Gigolò, “se una cosa ti piace, falla!”. Ma spero s'arrivi presto a un mondo che non ti giudichi per questo, che tu sia donna o uomo».
SiDDI ha velocemente consumato la batteria del computer e Richard Gere se ne accorge. Finisce il cappuccino, sorride. «Alla fine convenite con me sul fatto che sia più giusto odiare il crimine e non chi lo commette».
«Marco, ma perché parla come King Star?».
«Non lo so, deve essere colpa dei cookie nel PC...».
«Poi praticamente ci ha intervistato lui, non abbiamo fatto in tempo a fargli neanche una domanda!».
«Sembra che il tempo a nostra disposizione sia finito», ci interrompe l'attore. «Mi ha fatto piacere parlare con voi del mio passato. Quando volete, sapete dove trovarmi!».
«Levati dalle palle, Mayo!», esclama Marco. «Scusate, ma ho sempre sognato di dirlo dalla prima volta che ho visto Ufficiale e Gentiluomo!»
Poi, in un fuoco d’artificio di pixel, Richard Gere svanisce dallo schermo, lasciandoci col desiderio di rivedere tutti i film di cui abbiamo parlato e un cappuccino digitale da pagare. Almeno finché non m'accorgo di dover pagare anche quello analogico di Marco, che s'è prontamente dileguato tra i vicoli del centro.
Francesca M. Russo
Marco Mogetta
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