Fahrenheit 11/9
«How the fuck did we get here?»
Michael Moore torna al cinema in forma smagliante. Con Fahrenheit 11/9 si respirano i fasti di Bowling a Columbine. Il titolo, come avrete potuto intuire, ricorda una sua pellicola precedente: Fahrenheit 9/11. Cos'hanno in comune questi due suoi lavori? Una figura controversa diventata presidente degli USA: prima era George W. Bush, ora è Donald Trump. Nonostante la locandina del film mostri il Presidente dalla pelle arancione giocare a golf, egli non è l'assoluto protagonista. In realtà, il documentario è un excursus che prova a spiegare come il miliardario newyorkese sia riuscito a sedersi nello Studio Ovale, contro ogni pronostico.
Molti sono gli argomenti messi sul piatto da Michael Moore, a cominciare dalla legge elettorale americana che, nonostante sia stata scritta per accontentare gli Stati schiavisti del Sud, è tuttora valida. Il fulcro di Fahrenheit 11/9, però, resta a Flint, Michigan, dove uno scandalo ha coinvolto sia il Governatore dello Stato in cui il regista vive, sia l'ex Presidente Barack Obama. Michael Moore non sembra voler risparmiare critiche al partito del quale è elettore, ovvero il Partito Democratico. A partire dalla sua vecchia guardia, tesa a demoralizzare la base con idee retrograde e sicuramente non progressiste; di come sia vietata la parola socialismo. Ma soprattutto su come i nuovi candidati, con idee più radicali di Hillary Clinton, siano in realtà considerate figure scomode. La somma di questi elementi ha causato una grande sfiducia nel Partito Democratico, portando gli elettori delle classi sociali meno agiate non tanto a votare per Trump, quanto a rendere gli astenuti lo schieramento più grande della nazione.
Nonostante tutto, Michael Moore mostra grande speranza per le generazioni future, dando risalto innanzitutto ai nuovi candidati al Senato per il midterm, ma anche a quei giovani studenti che quest'anno hanno protestato ferocemente contro il secondo emendamento. Il regista, in questo caso e nonostante lo scenario sia dei più cupi, crede ancora in una generazione pronta a rimpiazzare i vecchi dinosauri. Da non dimenticare, invece, l'ironia che il regista mette in mostra, come sua tradizione. Chiaramente Trump e la maggior parte dell'establishment americano sono facile oggetto di scherno, ma Michael Moore riesce a bilanciare satira e argomenti seri, come gli scioperi e le stragi nelle scuole.
Altro argomento su cui Michael Moore non esita a ripetersi è sulla necessità che i cittadini non debbano mai abbassare la guardia, nonostante ci sia una Costituzione a proteggere i loro diritti. Come Hitler in Germania, chiunque può prendere il potere e stravolgere le regole, soprattutto se l'elettorato è male informato. Un monito tristemente attuale.
di Valerio Massimo Schiavi
In questa recensione sono citati:
• Bowling a Columbine
• Fahrenheit 9/11
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