First Man
«Tuo padre andrà sulla Luna»
Era il 1969 quando l’Apollo 11 portò Armstrong e Aldrin sulla Luna. Il famoso piccolo passo per l’uomo, come piace ricordare a tutti noi. E questo a Damien Chazelle importa, ma è storia nota e preferisce mettere in primo piano ben altro. La sfida che il giovane e talentuoso regista s'impone è d'indagare nella vita di Armstrong. First Man è un racconto molto toccante degli anni più difficili di uno degli uomini più famosi dell’era contemporanea. Un ritratto che procede dalla massacrante malattia della figlia, fino all’impresa che gli concesse un posto nei libri di storia. Ogni lutto, familiare o meno, e ogni sconfitta sono riportati dal regista con una delicatezza fuori dal comune e con uno stile a dir poco impressionante.
La regia proposta da Damien Chazelle ha difatti un taglio molto amatoriale, quasi casalingo nei suoi intimi campi strettissimi e messe a fuoco imprecise. Lo stile scelto per la fotografia e la qualità dell’immagine hanno una forte impronta anni ’60, a rendere l’intero racconto quasi un montaggio di istantanee rubate. È forse questo il punto forte di First Man, uno stile che scardina completamente tutte le norme stabilite negli ultimi anni, sia per quanto riguarda i film biografici che gli sci-fi. In questo senso, l’effetto sperato e perfettamente riuscito è la completa immedesimazione dello spettatore. A dare man forte a questa volontà, intervengono anche diverse sequenze estremamente frenetiche, sia dal punto di vista visivo che sonoro. Mai come in questo film, lo spettatore è quasi messo al tappeto dalla vorticosa composizione che si trova davanti, assaggiando in parte quanto gli eroi della pellicola provano, fino ad adagiarsi sulla poltrona, quasi spossati. È difficile dire con certezza che si tratti di un punto di forza; se è vero che queste scelte aiutano l’immedesimazione, d’altra parte si corre il rischio di stancare lo spettatore e di perderne l’attenzione. Di certo, però, non si può negare che anche in questo senso Damien Chazelle abbia preso scelte sicuramente audaci, se non innovative. Un lavoro, insomma, diverso dalla solita offerta, ma anche un prodotto che, tuttavia, non può fare a meno anche di dialogare con i suoi predecessori.
Guardando First Man, infatti, saltano subito alla mente due precisi paragoni: Interstellar e 2001: Odissea nello Spazio. Per quanto riguarda il film di Christopher Nolan, il paragone è stato azzardato più e più volte, sia dalle prime immagini rilasciate da Universal, sia nel corso delle varie proiezioni nei festival più importanti, ultimo tra i quali Venezia. Ebbene, si tratta di un parallelo in realtà poco convincente, basato solo su due sole somiglianze, una sul fronte della sceneggiatura e una registica. La scelta di dare molto spazio al legame che Armstrong aveva con la propria figlia può ricordare, in una certa misura, Cooper (Matthew McConaughey) e Murph (Jessica Chastain) in Interstellar. Ad accostare Damien Chazelle regista a Nolan sono alcune bellissime sequenze, in cui la macchina da presa è posta esternamente dallo shuttle. Nonostante questo, però, in entrambi i casi, in First Man il regista ha dato un tocco così personale all’intera composizione, da eclissare ogni paragone con la pellicola del regista inglese. Per quanto riguarda 2001: Odissea nello Spazio, il parallelo, più che all’occhio, salta all’orecchio. Alcuni accostamenti musicali scelti dal regista, che sulla musica ha basato i suoi primi lavori, ricordano molto quelli di Kubrick per il suo capolavoro, in cui i brani classici bilanciavano la pesantezza visiva delle sequenze fantascientifiche. Ma, di nuovo, in ogni sua scelta Damien Chazelle dimostra d’aver dato un’interpretazione del tutto personale anche a scelte già viste sul grande schermo. Come non parlare poi della ripetuta scelta di giocare col buio e la luce, inquadrando prima il desolato e nero Spazio, per poi mostrare all’improvviso luminosissime immagini della Terra o della Luna. Una scelta quasi simbolica della vita di Armstrong stesso, che dovette affrontare il vuoto straziante del lutto e della sconfitta, prima di vedere la luce.
Un ultimo, interessantissimo, dettaglio riguarda proprio lo stile registico accennato sopra. Mentre tutte le sequenze ambientate sulla Terra godono di questo tocco quasi retrò, Damien Chazelle decide di dare un’impronta iper realista e attuale, quasi più canonica per il genere, alle scene ambientate nello Spazio. Anche in questo caso, sembra che ci sia del simbolismo nella scelta, o quantomeno una volontà ben precisa di dare un taglio intimo alle scene sulla Terra e uno più classico alle scene, relativamente meno toccanti, che caratterizzano i viaggi dell’equipaggio. L’unica vera pecca del film può essere rappresentata da un solo nome, quello di Ryan Gosling, che porta un’interpretazione a tratti poco convincente del personaggio di Armstrong. L’attore, in alcune sequenze, sembra lontano anni luce dal sentire o dall’essere quantomeno in grado di trasmettere quanto il pilota provava in quegli attimi estremamente drammatici. Tuttavia, la sua performance non guasta eccessivamente il lavoro del regista e First Man riesce comunque a trascinarci con delicatezza attraverso ogni snodo. Inoltre, accanto a Ryan Gosling intervengono nomi in grado di mantenere comunque alto il livello della pellicola. Da una straordinaria Claire Foy, nei panni della signora Armstrong, a tutti i collaboratori del protagonista, primi fra tutti Jason Clarke, Kyle Chandler, Corey Stoll (nel ruolo di di Aldrin) e Ciarán Hinds, ogni scelta di casting è stata vincente. Dovendo tirare le somme, First Man è un film dall’enorme impatto stilistico e questo, al contrario di quanto accade solitamente, non nasconde una sceneggiatura debole, ma riesce a far risaltare una storia a tratti pazzesca e sicuramente emozionante.
di Claudia Smith
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