L'Isola delle Rose
«Perché non provi a essere normale?»
L’Esperanta Respubliko de la Insulo de la Rozoj, meglio nota come L’Isola delle Rose, fu una micronazione istituita il 1° Maggio 1968 dal suo ideatore, fondatore e Presidente, l’Ingegner Giorgio Rosa. Incapace, per sua stessa ammissione, di conformarsi a visioni precostituite, con mille idee per la testa e il favore e supporto di alcuni amici, come lui sufficientemente folli da pensare non solo che un altro mondo fosse possibile, ma che potessero addirittura essere loro a costruirlo, Rosa e gli altri quel mondo decisero dovesse essere in mezzo all’Adriatico. Per la precisione, a 6 miglia al largo della costa, davanti al lungomare di Rimini. Esattamente in quel punto, con un complesso sistema di tubi in acciaio, piloni e mattoni, eressero una piattaforma di 400 metri quadrati, issarono una bandiera, coniarono una moneta propria, dichiararono l’esperanto come lingua ufficiale e istituirono quello che sarebbe dovuto essere uno Stato libero, arrivando anche a richiedere il riconoscimento alle Nazioni Unite e il supporto del Consiglio d’Europa.
Oltre ogni più rosea (scusate il gioco di parole) aspettativa, l’Ingegner Rosa e gli altri cittadini dell’Isola delle Rose riuscirono in questa impresa, attirando l’attenzione di migliaia di vacanzieri della Riviera Romagnola, attirati anche dall'impressionante copertura che la stampa dell’epoca diede all’impresa, ansiosa, si sospettò, di poter sviare l’attenzione dai disordini che ormai si erano diffusi nelle piazze di tutto il territorio nazionale. Anche molti turisti della località balneare, che alla fine degli anni ’60 stava vivendo un vero e proprio boom di presenze, e semplici curiosi furono attirati dall'Isola delle Rose, volendo vedere coi propri occhi un altro mondo possibile. Lo fu davvero. Per 55 giorni, fino al 25 Giugno 1968, quando una flotta della Marina Militare Italiana, inviata dall’allora Ministro dell’Interno Franco Restivo, ne prese il controllo, sgomberando i suoi abitanti e procedendo alla distruzione della piattaforma pochi giorni dopo.
Di questa incredibile vicenda parlarono già, nel 2009, Stefano Bisulli e Roberto Naccari nel bel documentario Insulo de la Rozoj, volontariamente e goliardicamente girato in italiano, ma sottotitolato in esperanto. Troverete immagini d'archivio esclusive, prodotte dallo stesso Giorgio Rosa, nonché testimonianze dirette dei protagonisti che animarono l’Isola e ne ricordano ancora l’impatto che ebbe non solo sulle loro vite, ma in tutta la società dell’epoca, all’alba di uno dei momenti più drammatici della storia postbellica italiana. L’Incredibile Storia dell’Isola delle Rose è anche il titolo dell’ultimo film di Sydney Sibilia, prodotto con la Groenlandia dell’amico e socio Matteo Rovere, da alcuni giorni nel catalogo delle novità di Netflix. È una pellicola molto attesa, anticipata da una campagna che, tra teaser, trailer, anticipazioni, fotografie dal set e dal backstage, ha incuriosito il pubblico potenziale per oltre un anno. Sarà stata questa lunga attesa, sarà stato l'ansia per il ritorno alla regia di Sydney Sibilia, che ci fulminò col suo esordio con Smetto Quando Voglio e ci conquistò coi due capitoli successivi dedicati alla Banda di Pietro Zinni, Masterclass e Ad Honorem, sarà che in Riviera e non solo ancora si parla con entusiasmo, ma anche una giusta dose d'ironia, dell’Ingegner Rosa e dalla sua Isola, ma la delusione avuta da questa trasposizione cinematografica è forte.
Non è solo colpa di una Color a dir poco fastidiosa, mirante probabilmente a calcare la mano su un senso burlone e sbruffone che pervade tutta la narrazione del film. Non dipende nemmeno dall’impressione che il regista salernitano non abbia saputo valorizzare appieno lo strepitoso cast a disposizione. Anzi, dopo aver visto Elio Germano recitare prima in un perfetto reggiano, col suo Ligabue di Volevo nascondermi, e qui in un bolognese da far invidia ai locali che passeggiano sotto alla Torre degli Asinelli, ci sentiamo quasi di chiedere alla Regione Emilia-Romagna, la cui Film Commission ha fortemente sostenuto economicamente la produzione di L’Isola delle Rose, di concedergli la cittadinanza onoraria. Abbiamo trovato superbi sia Luca Zingaretti, che qui dismette i panni del Commissario Montalbano per vestire quelli governativi del Primo Ministro Giovanni Leone, sia Fabrizio Bentivoglio, un esasperato ministro Franco Restivo) cui, seppur in modalità esageratamente macchiettistiche e totalmente improbabili se reinserite nel contesto storico e politico dell’epoca, ci regalano i pochi guizzi interpretativi del film. Certo, ci sarebbe piaciuto poter parlare in modo diffuso della sempre bravissima Matilde De Angelis, che indubbiamente vediamo destinata a un futuro cinematografico sempre più roseo e, come già sta dimostrando, di caratura internazionale, ma ne L'Isola delle Rose è incatenata da Sydney Sibilia in una rappresentazione da fidanzatina borghese e capricciosa, peraltro per nulla rappresentativa del carattere e dello spessore storico di Gabriella Chierici, la moglie di Giorgio Rosa, che nella realtà storica, proprio in quanto avvocato specializzato in Diritto Internazionale, fu fondamentale nella costruzione giuridica dell’Isola.
Siamo delusi perché una storia intrinsecamente cinematografica è stata profondamente e ingiustamente banalizzata. L’interesse di Giorgio, Gabriella e dei loro amici uniti nell’impresa dell'Isola delle Rose non fu solo ludico o di raccogliere in un contesto libero tanti giovani, ma anche quello di dare un segnale, di un mondo che stava cambiando, i cui giovani, come altri sicuramente più politicizzati stavano dimostrando nelle piazze del Paese, non erano più disposti a sottostare a leggi e disposizioni da cui non si sentivano realmente rappresentati. Per questo furono disposti a creare un proprio Stato, laddove il loro non si dimostrò disposto ad ascoltarli. L’Isola delle Rose perde completamente questo contesto. Vuole far pensare che Giorgio abbia voluto costruire l’Isola per Gabriella, nell'intenzione di convincerla che per lei avrebbe potuto creare letteralmente un mondo diverso, in cui avrebbero potuto governare insieme; per gli altri, invece, niente sembra contare di più di una gara di sci nautico o del frigo del bar pieno di Cynar, sebbene non si abbiamo prove storiche del fatto che il liquore fosse davvero così diffuso all’epoca e viene il dubbio che si tratti di una riuscitissima strategia di product placement. Come se non bastasse, una serie di scene di cui facciamo fatica a comprendere il senso e una gestione del tempo narrativo confusa e spesso grossolana levano a L’Isola delle Rose ogni straordinarietà della vicenda che vorrebbe raccontare. Se non la dimostrazione che, sempre più, per la diffusione e il successo di un film sembra che incida più una buona campagna di marketing, piuttosto della sua effettiva qualità.
di Joana Fresu De Azevedo
Leggi anche le altre Recensioni
In questa recensione sono citati:
• Insulo de la Rozoj (documentario)
• Smetto Quando Voglio (film)
• Smetto Quando Voglio: Ad Honorem (film)
• Smetto Quando Voglio: Masterclass (film)