L'appetito vien mangiando
Di George A. Romero Nerdface s'è già ampiamente occupato e a ragion veduta dato che, senza le sue creature, andrebbe decisamente pe' stracci. È vero: gli zombie (dal bantu nzumbe, fantasma) non se li è inventati Romero. Sono (ri)nati dalla cultura creola, in quel calderone d'umanità che furono le Antille nel 17° secolo. Sono uomini e donne uccisi e rianimati mediante rituali proibiti (e ben noti al codice penale della Repubblica di Haiti) della magia vudù, per essere utilizzati come schiavi. È vero pure che La Notte dei Morti Viventi non è stato affatto il primo film sugli zombie. Il primato spetta a Victor Halperin, il quale nel 1932 girò il semisconosciuto L'isola degli Zombies, affidando al superlativo Bela Lugosi il ruolo del bokor (stregone) Legendre. Eppure, l'unico e solo papà degli zombie è questo barbuto newyorchese di origini cubane e lituane, che prima di lasciarci poco più di un anno fa, indossava un paio d'occhiali che nemmeno Mike Bongiorno a Telemike. «Che cos'ha lui che non ho anch'io?», gridano in coro migliaia di stregoni vudù ormai disoccupati. Il genio, tesori miei. Per creare uno zombie, prima dell'arrivo di George A. Romero, bisognava somministrare il veleno alle vittime una alla volta, aspettare che la droga facesse effetto, seppellirle (che fatica!), praticare il rito e mettersi a dare ordini: uno sbattimento immane. George, ispirato dal maestro Richard Matheson e dal suo Io sono Leggenda, butta al secchio secoli di tradizione haitiana, cala l'asso di un'epidemia sconosciuta (e in futuro declinata in tutte le salse) e nel 1968, con qualche amico e 114 mila miseri dollari, rivoluziona per sempre il cinema horror e l'immaginario collettivo. Altro che i fiori nei capelli!
La Notte dei Morti Viventi è un capolavoro. Un film crudo, spiccio, senza orpelli, senza freni e quindi terribilmente efficace. George A. Romero ne cura regia, sceneggiatura, fotografia, musiche e confeziona un pugno allo stomaco che infrange ogni tabù e ancora si sente dopo cinquant'anni. Il protagonista è un afroamericano (scelto perché migliore tra i provini e non per altre ragioni); i morti, lasciati a se stessi e privi di un padrone, si avventano sui vivi per divorarli davanti alla macchina da presa, senza lasciare nulla all'immaginazione. Fratelli cercano di sbranare sorelle e ragazzine adolescenti sbocconcellano la propria madre con inesorabile, gustosissima lentezza. Non solo: nella disperata lotta per la sopravvivenza, le leggi degli uomini cedono in fretta il passo a quella del più forte e l'alba, da sempre traguardo per la salvezza, porterà coerentemente a un finale amarissimo, desolante, stupendo. Complice la non applicabilità dei divieti della MPAA al momento della distribuzione nelle sale, questi 96 minuti di carneficina furono sbattuti in faccia a un pubblico di tutte le età, incassò la bellezza di 18 milioni di dollari e scatenò polemiche a non finire.
Nessuno è rimasto indifferente (tranne Matheson, che non si disse colpito da questo adattamento del suo romanzo, ma a lui è permesso di tutto) e gli zombie hanno dilagato ovunque: film, telefilm, fumetti, canzoni, remake, riadattamenti, parodie, pubblicità: da mezzo secolo i morti hanno smesso di riposare e barcollano in mezzo a noi, che ancora non troviamo spiegazione al perché ci piacciano tanto. C'è chi nel passo strascicato e nei volti inespressivi di questi nuovi, scioccanti mostri affamati ha percepito l'immoralità del consumismo della società occidentale, chi del comunismo, chi ci ha visto gli americani in Vietnam, chi i vietcong, i neri o il Ku Klux Klan: tutto e il contrario di tutto. Forse basterebbe vederci la fame di cinema di un ragazzo che, nato con la cinepresa in mano, ha saputo fare centro al primo colpo. Ah, ne La Notte dei Morti Viventi la parola zombie non compare mai.
di Dott. Hoffattancòra
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