Il Re affamato dei videogiochi
All'inizio degli anni '80, il mondo stava ancora scoprendo l'ultima forma d'intrattenimento arrivata sulla scena. I videogame erano ancora molto lontani dal diventare produzioni colossali e la tecnologia d'allora, che comunque procedeva facendo balzi da gigante, permetteva agli sviluppatori di concentrarsi maggiormente sul gameplay. Alcune compagnie intuirono il potenziale del nuovo mezzo e, tra queste, c'era Namco. Nata nel 1955 come azienda di giocattoli, nel 1974 comprò la divisione giapponese di Atari proprio per conquistare un posto nel mercato delle macchine arcade. La storia di Pac-Man inizia proprio in Namco, nel 1977, quando Toru Iwatani entra nella compagnia come sviluppatore, facendosi notare con Gee Bee e Galaxian. Visti i risultati, gli è chiesto un nuovo gioco e l'autore inizia a elaborare una strategia che possa rivelarsi vincente. Le sue idee sono semplici: l'intento è rendere gli arcade accattivanti anche per un pubblico femminile e, in generale, renderli family friendly. Ha già una linea di base: il gioco deve essere kawai, più colorato dei suoi predecessori, più bello da vedere e da giocare.
Sempre alle donne Toru Iwatani guarda per l'ispirazione al gameplay. Forse pensa alle donne giapponesi mentre mangiano delicatamente un dessert, usando piccoli cucchiaini; forse vuole solo sviluppare un gioco non violento. In ogni caso, immagina un videogame nel quale il protagonista deve mangiare piccole palline e frutti succulenti, aggirandosi in un labirinto popolato da molesti fantasmi. Sceglie il nome del protagonista, Pakkuman, prendendolo dall'onomatopea giapponese «paku paku», che indica il movimento della bocca mentre mastica; il suo aspetto è ispirato non solo a una pizza cui manca uno spicchio, ma anche dalla semplificazione dell'ideogramma giapponese 口 (kuchi), che sostanzialmente significa bocca.
Gli elementi di Pac-Man sono presenti già quasi tutti, ma per aggiungere il giusto livello di sfida Toru Iwatani prende spunto da Braccio di Ferro e inserisce alcune pillole speciali, che rendono i fantasmi vulnerabili alle mascelle del protagonista e, forse, da un'antica storia giapponese, nella quale una creatura difendeva i bambini dai mostri, divorandoli. In più, decide di fornire a ogni fantasma una proprio attitudine comportamentale, in modo che reagiscano in maniera diversa di fronte a Pac-Man. Il videogame è quindi pronto dopo circa 1 anno e 5 mesi, il più lungo processo di sviluppo mai registrato fino ad allora, e il nome è cambiato prima in Puck-Man, poi in Pac-Man, per evitare che i cabinati fossero vandalizzati, sostituendo la P con una F... Il resto è storia e leggenda.
Pac-Man inizia a macinare successi in Giappone e nel resto del mondo, contribuendo all'ascesa dei videogame come mezzo d'intrattenimento e diventando protagonista della loro prima epoca d'oro. Oltre al mondo digitale, il protagonista godrà di fumetti e serie animate e di svariate citazioni, fino a tempi recenti. Nel cinema, è per esempio tra i videogame citati in Pixels, sfortunato film con Adam Sandler, e in una delle sequenze più memorabili di Guardiani della Galassia: Volume 2; nel suo stesso campo, invece, a esso s'ispirarono Carmack e Romero, creatori di Wolfenstein 3D, aggiungendo proprio un livello bonus che è un Pac-Man in 3 dimensioni; nell'editoria, ha un ruolo parecchio importante in Ready Player One, legato al suo fantomatico ultimo livello. Fantomatico perché Pac-Man non ha un vero e proprio livello finale: si può arrivare al labirinto 256, ma poi, per un problema nel codice che ne rende irriconoscibile la grafica, è praticamente impossibile andare avanti, sebbene sia stata dimostrata l'esistenza di altri 255 livelli successivi. Insomma, Pac-Man è ancora identificato come emblema stesso dei videogame, tanto che la sua icona è spesso presa per rappresentare l'intero mondo videoludico. Non a caso, s'è anche aggiudicato il Guinness World Record nel 2010 come arcade più istallato, con 293.822 copie. Se siete troppo giovani per ricordarlo o per averci giocato, potete ancora recuperare un doodle su Google e scoprire che alcuni giochi sono davvero immortali per la loro semplicità e il loro imperituro appeal.
di Alessandro Sparatore
Leggi gli altri approfondimenti nella sezione Nerd Origins
Forse potrebbe interessarti:
• Nerd Origins. Metal Gear Solid: enfants terribles
• Nerd Origins. Game Boy: croce (direzionale) e delizia
• Film. Ready Player One. La Recensione
• Videogame. Doom Eternal. La Recensione