E alla fine il futuro è arrivato
Dando per scontato che la maggior parte di voi conosca a memoria l'intera trilogia di Ritorno al Futuro, abbiamo deciso d'impostare questo articolo per quelli che seguono Nerdface e sono troppo giovani per averla vista. Inizieremo con un semplice e conciliante: «Cosa diavolo state aspettando?!». Date retta agli zii, che di nerdate ne hanno viste tante nel corso degli anni, e correte a recuperare tutti e tre i film della saga capace di rendere immortale la DeLorean, in quanto «dovendo trasformare un'automobile in una macchina del tempo, perché non usare una bella automobile?». È il lontano 1985 quando Ritorno al Futuro arriva al cinema. L'idea della trama era venuta allo sceneggiatore Bob Gale, quando aveva ritrovato il vecchio annuario del liceo di suo padre, chiedendosi se sarebbe stato possibile diventargli amico, nel caso lo avesse conosciuto in quel periodo. Parlandone con Robert Zemeckis, al regista venne in mente una madre che raccontava di non aver mai baciato nessuno alle superiori, ma che in realtà era stata abbastanza allegrotta e, qualcuno dice, si trattasse proprio della sua. Sia come sia, i due si misero al lavoro e sfornarono uno dei film di maggior successo di quell'anno: ci mise lo zampino anche Steven Spielberg, in qualità di produttore esecutivo. La storia era semplice e si basava sul celebre Paradosso del Nonno: se torno indietro nel tempo e uccido mio nonno prima che abbia figli, esisterò ugualmente o scomparirò nel nulla? In effetti, il paradosso è un tantino più articolato, ma per Bob Gale e Robert Zemeckis andava benissimo così.
Costato 19 milioni di dollari, Ritorno al Futuro arriverà a incassarne più di 200 e a catapultare Michael J. Fox, già attore di successo all'epoca in TV, grazie alla sitcom Casa Keaton, nell'Olimpo dorato delle superstar; con lui, lo stesso Robert Zemeckis e Christopher Lloyd, interprete di Doc Brown, l'inventore al quale si deve il Flusso Canalizzatore «che permette i viaggi nel tempo». Alcune scene rimangono impresse così tanto nella memoria, da divenire veri cult: la corsa con lo skateboard improvvisato, il solo di chitarra di Michael J. Fox suonato nel silenzio attonito della sala e la mitica frase tormentone pronunciata da suo padre, nel momento di più alto riscatto maschile.
«Ehi tu, porco, levale le mani di dosso»
Il finale del primo capitolo è abbastanza aperto e, infatti, non bisogna aspettare molto perché esca il sequel. Nel 1989 arriva, così, Ritorno al Futuro: Parte 2. Se nel primo si partiva dal 1985 per tornare al 1955, in questo la destinazione è il futuro prossimo, quello con macchine volanti e skateboard antigravitazionali, quello dei robot intelligenti e della realtà virtuale... Il futuro, insomma! Il 2015. Ehm... La trama rielabora quanto successo nel primo capitolo e introduce il concetto di linea temporale. Fantascienza? No, nient'affatto: ci sono alcune teorie che più o meno danno ragione al film. Se l'argomento vi incuriosisce, la nostra rubrica Weird Science viene in vostro aiuto.
L'anno successivo arriva Ritorno al Futuro: Parte 3, capitolo conclusivo e più amato da chi scrive. L'epoca nella quale è ambientato è il 1885, il Far West americano. Ora, anche se non avete mai visto uno dei tre film, bisogna ammettere chiaramente l'impossibilità non esservi mai imbattuti in una citazione anche di uno solo di essi, visto che, letteralmente, imperversano in ogni media possibile e immaginabile. Citiamo, per esempio, i Griffin con il loro Black to the Future, oppure il recente Un Milioni di Modi per Morire nel West, film che cerca di rimanere sulla linea di confine sottile del non sense, concedendosi di superarla solo quando il protagonista, attirato da alcuni lampi provenienti da un fienile, lo apre e ci trova dentro Doc Brown, cioè davvero Christopher Lloyd, insieme alla DeLorean. Ad aggiungere un tocco in più, Doc Brown pronuncia il suo tormentone «Grande Giove!», sull'accenno del tema musicale composto all'epoca da Alan Silvestri. Citazioni anche dove non ci si aspetta di trovarle: in Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo, una delle scene più criticate è quella nella quale Indy si nasconde in un frigorifero per scampare all'esplosione di una bomba atomica. Si tratta di un omaggio alla prima versione della sceneggiatura di Gale, che prevedeva una macchina del tempo ricavata da un frigorifero e la sua attivazione per mezzo della detonazione di un'atomica. Sapendo questo, possiamo perdonare Steven Spielberg, o almeno depennare quella scena dalla lunga conta dei peccati di quel film.
Oltre a quelle sugli altri media, la stessa trilogia di Ritorno al Futuro è infarcita di citazioni autoreferenziali, che si traducono in una serie di cliché e situazioni che si ripetono in ognuno dei tre capitoli in maniera simile, ma non uguale. La rozzezza dei modellini «non in scala e non dipinti» di Doc Brown, per esempio, o il triste destino che attanaglia la famiglia del cattivo della serie, Biff Tannen, e che sembra spingerlo sempre contro una camionata di letame fumante. Poi c'è lo skateboard e il film Jaws 19 (Lo Squalo 19), che appare nel 2015 girato da Max Spielberg, nome del vero figlio di Steven; il non pensare «quadrimensionalmente» e «l'esperimento metereologico»; il fulmine che ha colpito la torre dell'orologio e il videogame Wild Gunman; i pugni presi dai Tannen nelle varie epoche e i coinvolgimenti sentimentali che rischiano di far collassare l'universo. Insomma, la trilogia di Ritorno al Futuro è principalmente divertimento, perché il suo stesso spirito è leggero e questa caratteristica traspare in ogni scena, anche nelle più drammatiche, ed è certo un riflesso di quanto hanno provato gli sceneggiatori e il regista mentre la realizzavano. Sono più di trent'anni che i tre capitoli sono sulla cresta dell'onda e la loro fama non accenna a diminuire, quindi, tornando ai più giovani che non li hanno mai visti, ora ce lo dite: «Cosa diavolo state aspettando?!».
di Alessandro Sparatore
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