The Martian
«Questo è lo Spazio e non collabora»
Non c'è nulla di meglio di sedersi comodi in poltrona e godere di un buon film di fantascienza. È una sensazione talmente appagante, da poter anche scordare e conseguentemente ignorare tutti i componenti della fauna fastidiosa che regna nei cinema, da quando i gestori hanno deciso di depotenziare la figura della maschera. E questo The Martian, del grande Ridley Scott, è uno dei migliori film di fantascienza di sempre. Andiamo con ordine e veniamo a un po' di trama. Un gruppo di astronauti è in missione su Marte. Raccolgono campioni di roccia, conducono esperimenti e la loro permanenza è ancora lunga, almeno in previsione. Già, perché una tempesta di sabbia li costringerà a rifugiarsi nel modulo di partenza e ad abbandonare il Pianeta Rosso prima del tempo. Durante la concitata corsa verso la navicella, però, uno degli scienziati, il botanico Mark Watney (interpretato da Matt Damon) è colpito da un detrito spazzato via dal vento. Di lui si perdono le tracce e i suoi compagni partono, credendolo morto.
Ma Matt Damon ha la pellaccia dura e non muore. Quando si risveglia, si ritrova solo, ferito e abbandonato in un mondo ostile; in più, è impossibilitato a contattare Houston per avvertirli d'essere ancora vivo e, possibilmente, per farsi venire a prendere. Per sua fortuna, sulla superficie di Marte c'è ancora l'hub nel quale era ospitato insieme ai suoi compagni. È poco, ma è pur sempre qualcosa di simile a una casa e, soprattutto, gli darà la possibilità di coltivare qualcosa da mangiare nella lunga attesa della già prevista missione successiva. The Martian parte da questi presupposti e riesce a gestirli senza mai diventare lento. Lo scorrere del tempo è piuttosto dinamico, con veloci salti in avanti, ma non mortifica mai la sensazione d'attesa: non è un aspetto da sottovalutare. Invece d'avere lunghe pause di silenzio nelle quali non accade nulla, ogni istante del film ci mostra il sopravvissuto intento a fare qualcosa: si muove, pianifica, calcola, organizza le poche risorse da lui possedute per cercare di farle durare il più a lungo possibile. Così, The Martian risulta ritmato e il protagonista diventa un uomo in lotta per la sua sopravvivenza, il quale s'aggrappa alle speranze che man mano riesce a ritagliarsi. Ricordate Gravity? Nel pregevole film di Cuaròn, Sandra Bullock era in perenne movimento, come del resto lo era anche tutto quanto attorno a lei. Ora immaginate lo stesso ritmo, utilizzato però per raccontare non poche ore, ma più di un anno. Sarebbe impresa difficile per molti, ma Ridley Scott ci riesce benissimo, creando un film non solo bello da guardare, ma che mai ti lascia solo, a differenza del povero Matt Damon; t'accompagna per tutta la sua durata, perché il problema messo in evidenza non è tanto la solitudine, come quella di Tom Hanks disperso sull'isola deserta di Cast Away, quanto la pura lotta per la sopravvivenza, affrontata non con il machete, bensì con l'arma più affilata dell'ingegno umano. Solo con l'uso della razionalità e del ragionamento è permesso affrontare ogni problema e, all'occorrenza, pure improvvisare.
È vero: questo ritmo è molto aiutato poiché non siamo sempre su Marte e spesso ci troviamo a vedere quanto succede sulla Terra, mentre alla NASA molti si spremono le meningi per cercare di capire come salvare la vita del botanico, una volta capito che è vivo, ma è un punto di forza del film. Nonostante per la maggior parte del tempo di The Martian davanti alla macchina da presa ci sia Matt Damon, piace sottolineare come Ridley Scott forse abbia voluto sottolineare l'importanza di ragione e scienza, mostrando l'impegno planetario via via crescente nel tentativo di riportare a casa il protagonista. Riusciamo a empatizzare con lui, quando sappiamo cosa stia facendo, meno, forse, quando si perde nei suoi calcoli. Ma anche in quei casi riusciamo a captare la sua straordinaria vitalità e la sua voglia di sopravvivere. Aiutano, infine, diversi momenti da vera e propria commedia: da profondi nerd la scena nella quale il nostro botanico si scopre eroe e grida: «Facciamo Iron Man!», uno dei diversi momenti più leggeri, nei quali, a fare da contrappunto al clima sempre teso e instabile della lotta per vivere, ci sono altrettanti monologhi del protagonista, intento a tenere un diario video, grazie al quale idealmente resta in contatto con i suoi compagni e con se stesso. C'è una menzione speciale da fare a Donald Glover, attore visto in Community, qui in un ruolo di sfondo, eppure fondamentale: un ulteriore passo verso una carriera molto promettente. Da segnalare pure Jeff Daniels, credibile nei panni fortemente seri del direttore della NASA, e pure Sean Bean, anch'egli scienziato incaricato di gestire i rapporti con la nave degli astronauti di ritorno verso la Terra. Nota a margine: la sua presenza regeala una delle citazioni più divertenti degli ultimi anni che sia capitato di vedere in un film. The Martian non è comunque privo di difetti: per quanto piuttosto accurato scientificamente, forse qualcuno apprezzerà meno quanto Ridley Scott indugi nelle sequenze finali, ricalcando proprio Gravity. Resta il grande pregio, in ogni caso, d'essere riuscito a creare un'opera sci-fi avvincente, anche per merito dell'ottimo libro di Andy Weir da cui è tratta, e senza dover scomodare la metafisica d'Interstellar. Si riesce a essere intelligenti anche senza diventare macchinosi. Dopo il mezzo scivolone di Prometheus, siamo contenti d'aver ritrovato il regista in grande forma, come siamo contenti di dove la fantascienza sia riuscita a spingersi qualitativamente. Avevamo ancora in bocca il buon sapore di Ex Machina e la nostre papille sono nuovamente in festa con The Martian: sono davvero tempi interessanti e speriamo continuino a lungo.
di Alessandro Sparatore
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