Uno spassoso messaggio semplice
Questa è la storia di come la vita di Will Smith sia cambiata agli inizi degli anni '80 grazie a una serie di fortunate coincidenze. Il tutto parte dal produttore e manager musicale Benny Medina il quale, durante la sua giovinezza, ebbe la fortuna di trasferirsi a casa di un amico, bianco, che viveva a Beverly Hills. Fu proprio questa esperienza a far nascere in lui l'idea per una sit-com che doveva, alle origini, raccontare la storia di un ragazzo di colore che andava a vivere presso una famiglia di ricchi bianchi. Pur partendo da un antefatto reale, l'idea non apparì originale e si decise di mantenere la famiglia ricca, ma che diventasse afroamericana, in modo da poter «esplorare i pregiudizi dei neri sui neri». Più o meno così prende forma Willy il Principe di Bel Air, non prima di alcune modifiche introdotte da Quincy Jones, produttore dello show. Ora occorreva trovare il giusto protagonista. Will Smith fino ad allora aveva avuto un discreto successo come musicista e nemmeno sognava di poter diventare attore. Intervenne sempre Medina, che provò a insistere: per vincere le perplessità dell'attore, lo invitò a un party di Quincy Jones, per presentargli il produttore e sperare nel miracolo. E questo avvenne. Jones diede a Will Smith lo script di un pilot ormai naufragato e lo sfidò a fare l'audizione direttamente alla festa; l'attore accettò e qualche ora dopo firmò il contratto che gli avrebbe cambiato la vita, a maggior ragione se si pensa che in quel periodo era parecchio indebitato.
Tre mesi dopo quella fatidica notte iniziarono le riprese di Willy il Principe di Bel Air, serie TV che divenne subito cult negli USA, come anche qui da noi. La trama è perfettamente riassunta dalle note della celebre sigla introduttiva, scritta dallo stesso Will Smith per la versione originale; è Edoardo Nevola a cantare la versione italiana, compresa la canzone che fa da sigla di coda. Willy è un ragazzo come tanti della periferia di Filadelfia e la madre lo manda a vivere dallo zio ricco di Bel Air, per evitare che sia traviato da cattive compagnie. Ad accoglierlo c'è una famiglia snob e raffinata, eppure capace d'offrire al ragazzo un calore ben evidente appena dopo pochi episodi. La zio Phil, avvocato e poi giudice, sarà la figura paterna severa, ma giusta, pronta a dare conforto e offrire aiuto; la zia Vivian, invece, sarà un po' la coscienza sia del marito che del nipote; i cugini Carlton, Hillary e Ashley avranno ruoli di contrappeso al carattere scapestrato di Willy, fino a manifestare la più sincera ammirazione per la sua «limpida genuinità».
Non possiamo poi dimenticare Geoffrey, il maggiordomo caustico e sarcastico che non smetterà mai di sottolineare, anche con una punta d'ignavia, lo scompiglio portato da Willy nella sua famiglia adottiva. Willy il Principe di Bel Air ha subito un successo strepitoso e va avanti per 6 stagioni, senza rinnovare quasi mai la formula. Willy si trasforma, ovviamente: cresce, matura e inizia anche a integrarsi nella sua vita da ricco, eppure fa punto d'orgoglio non dimenticare mai la sua provenienza, spesso incoraggiato proprio dallo zio Phil, che poco a poco s'affeziona al ragazzo come fosse suo figlio.
Willy il Principe di Bel Air ha raccontato affetti familiari sinceri, capaci d'andare oltre le differenze di ceto e d'educazione e di portare all'accettazione dell'altro, coi suoi pregi e difetti. Piacque perché, pur mantenendo i toni della commedia, lo fece trasmettendo un certo calore. Non solo: ha cercato d'insegnare anche la flessibilità, diversa dall'opportunismo o dalla mancanza d'amor, bensì segno di riconoscimento delle quanti ci vogliono bene e vogliono il meglio per noi. Ricchi o poveri, (ma soprattutto poveri) avere una famiglia alle spalle è quel di cui abbiamo bisogno: è il messaggio lampante della sit-com, fin dai primi episodi, tanto che pure alle figure meno positive, come la cugina Vivian, viziata come una diva, sono concessi momenti di profonda interiorità e un riscatto che va oltre il libretto degli assegni. È evidente in Willy il Principe di Bel Air il frutto delle considerazioni maturate da Medina nella sua esperienza personale: una famiglia ritrovata e un'amicizia sincera in grado di travalicare, come forse solo i bambini possono fare, ogni confine di ceto ed etnia.
di Alessandro Sparatore
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