«Anche loro hanno uno scopo»

Facile essere un eroe quando il solo fatto d’essere un alieno ti rende un Dio sceso in Terra, o se il numero incalcolabile di zeri (ereditati) sul tuo conto in banca ti permette di «mettere insieme le persone» e soddisfare ogni desiderio in fatto di armi, corazze e gadget vari.

Provate, invece, a calarvi nei panni di una strabica donnola umanoide, o in quelli di chi sa solamente far rimbalzare una pallina o comunicare coi ratti. Sembra essere stato questo il pensiero dal quale è partito James Gunn per costruire il suo The Suicide Squad, una riflessione portata all’estremo giocando dall’inizio alla fine del film con personaggi improponibili, spesso dai poteri ridicoli, se non inutili.

Un’operazione difficile

Dopo il flop totale del Suicide Squad di David Ayer, non era semplice tornare sul luogo del crimine. James Gunn, nel momentaneo divorzio con Marvel, scommette su un’operazione presentata come reboot e che però mantiene più di un legame col film precedente, a partire dalla presenza di Margot Robbie, un tutt’uno con la sua Harley Quinn, ormai, e Viola Davis, ancora nella parte della glaciale e infida Amanda Waller.

E così, a briglie sciolte e con licenza d’uccidere chiunque e in qualunque modo, James Gunn presenta uno dei migliori film di supereroi degli ultimi decenni, se non il migliore in assoluto.

Un po’ di trama, senza spoiler

La nuova squadra suicida è chiamata a infiltrarsi su un’immaginaria isola sudamericana, per distruggere un avamposto di ricerca nel quale il nuovo regime, appena sostituitosi con un golpe al precedente governo filoamericano, potrebbe volgere contro l’umanità una terribile arma biologica proveniente dallo Spazio.

Guidati da Bloodsport, interpretato da un Idris Elba anch’egli passato da Marvel a DC Comics, il gruppo ovviamente dovrà affrontare numerosi imprevisti, fino a giungere al più classico dilemma morale, destinato a rendere i suoi appartenenti veri e propri eroi.

Adorabili cattivi

James Gunn in qualche modo lo aveva già anticipato coi Guardiani della Galassia, quando presentò un quartetto di personaggi ritenuti marginali e li trasformò in pietra di paragone per ogni film successivo, riuscendo a dosare sapientemente dramma e commedia, epica e nonsense, tutti ingredienti sapientemente uniti in un piatto praticamente perfetto.

Con The Suicide Squad, godendo di un credito praticamente illimitato, il regista porta ogni tema all’eccesso. E così troviamo King Shark, in originale doppiato da Sylvester Stallone, un enorme squalo antropomorfo dall’insaziabile appetito di carne umana; il Peacemaker di John Cena, perfetto braccio armato delle guerre giuste per portare la pace; il povero Polka-Dot Man, un uomo ossessionato dalla madre che sviluppa come bubboni terribili pois di energia.

Un film esagerato

Nonostante ogni elemento sia esagerato, quasi portato al parossismo, The Suicide Squad non stanca mai: diverte, avvince ed emoziona, regalando personaggi difficili da dimenticare anche perché dotati finalmente di spessore psicologico, una sceneggiatura in cui ogni seme gettato matura in frutto e musiche avvolgenti a scandire un’altra colonna sonora perfetta. Surreale, epico, cattivo e scorretto, The Suicide Squad è da non perdere.