Wes Craven: i numerosi incubi di un maestro dell’Horror
Wes Craven
«The first monster you have to scare the audience with is yourself».
Urla d’autore
L’Horror ci piace. Ci piace vederlo al cinema o leggerlo in un libro. Ci piace parlarne e quando ce lo raccontano. Misterioso, è un genere difficile da gestire. Che tu sia uno scrittore o un regista, con l’Horror corri spesso il rischio di fare un fragoroso buco nell’acqua, perché i meccanismi della paura sono basici e al contempo complessi. Non avrai mai la certezza del risultato, sia che tu decida di lavorare di fino con un bisturi e chirurgicamente costruire una scena, sia che afferri una mazza chiodata e inizi a colpire gli spettatori lì dove fa più male. Sicuramente al secondo genere apparteneva Wes Craven il quale, per i suoi film, ha spesso scelto la via diretta verso lo stomaco degli spettatori.
L’ultima casa a sinistra
Wes Craven è uno che del cinema s’innamora a tal punto da mollare tutto, per dedicarvisi. Inizia dal basso e, piano piano, impara sul campo, a partire dalla tecnica del montaggio e i suoi primi lavori sono nel porno. Non ridete. L’esordio vero è proprio è però nel 1972, quando arriva nei cinema L’ultima casa a sinistra. Il plot ci è tragicamente familiare, in quanto racconta di due ragazze: adescate in una casa per fumare marijuana, si trovano invece prigioniere di un gruppo di malviventi, che le stupra e poi le uccide.
Gli assassini, però, prima d’andarsene decidono che è meglio nascondersi e finiscono nell’ultima casa a sinistra, appunto, di proprietà dei genitori di una delle due ragazze: questi non tarderanno a vendicarla, una volta scopertone il tragico destino. L’ultima casa a sinistra appartiene al genere Exploitation, che fondamentalmente possiamo riassumere in due parole: sesso e violenza.
Molte le scene disturbanti, moltissime le critiche al film successive alla sua uscita, come innumerevoli sono i tagli e i montaggi coi quali è distribuito nel mondo. Malgrado tutto, però, l’esordio di Wes Craven rimane un cult e, all’epoca, quando si parlava di film di Serie B, era a roba del genere cui si faceva riferimento, non alle porcate dell’Asylum.
Le colline hanno gli occhi
Nel 1977 il successo si rinnova con un altro cult: Le colline hanno gli occhi. Protagonisti della vicenda sono un gruppo di cannibali. Il film è ispirato in parte a un’antica vicenda svoltasi in Scozia poco dopo il 1500, al tempo funestata da un clan di cannibali che vivevano in una grotta e dediti all’incesto. La realtà dei fatti sfuma nella leggenda e non è ben chiaro se si tratti di fatti veri, oppure se siano stati ingigantiti, se non del tutto inventati.
Quale che sia la verità, Le colline hanno gli occhi bissa il successo de L’ultima casa a sinistra e lo stesso Wes Craven lavorerà a un sequel del 1985 e al remake del 2006, che produrrà e del quale scriverà il soggetto.
A nightmare on Elm Street
Gli anni ’80 incombono e con essi arriva Il mostro della palude, ispirato al celebre personaggio dei fumetti, Swamp Thing. Malgrado non si urli al miracolo, la pellicola è comunque candidata come Miglior Horror ai Saturn Awards del 1983. L’opera del decennio di Wes Craven sarà però un’altra e si tratta dell’esordio al cinema di uno dei più terrificanti mostri del mondo. È il 1984, infatti, quando esce A nightmare on Elm Street, da noi più semplicemente Nightmare, e le nostre notti sono turbate dagli incubi con Freddy Krueger e il suo guanto artigliato.
Interpretato da Fred Englund, il buon Freddy ha una storia particolarmente cruenta. Il personaggio è un assassino di bambini e riesce a sottrarsi alla giustizia per un mero cavillo. Deve però fare i conti con i genitori delle sue vittime i quali, per vendicarsi, lo bruciano vivo in una fornace.
I capitoli successivi
Tornerà come demone, capace d’infilarsi nei sogni delle persone e di ucciderle mentre dormono. È affrontato e sconfitto, ma tornerà per altri innumerevoli sequel e da un remake prodotto da Michael Boom Boom Bay. Malgrado alcune buone cose, nessuno capitolo successivo è riuscito a rendere giustizia al primo e inimitabile film.
Scream
Se nel decennio degli anni ’80 è l’incubo a fare da padrone, quello successivo vede la nascita di un’altra figura destinata a diventare un’immediata icona. Esce nel 1996, dunque, il primo capitolo della saga di Scream e Ghostface, l’assassino dalla maschera bianca, diventa subito uno dei preferiti dagli amanti dell’Horror.
Facciamo un piccolo passo indietro: si parlava di quanto sia difficile scrivere un horror e del rischio di non fare paura a nessuno. Tra i metodi più semplici c’è il jumpscare, quello di The grudge, per intenderci, dove il mostro appare all’improvviso e ti fa saltare sulla sedia.
Alla stessa velocità, però, scarichi la tensione. Altro tipo è la leggenda metropolitana, più raffinato perché fa leva su molte paure basilari. In Scream, nella celebre scena della telefonata, si fa uso dello stesso identico meccanismo sfruttato nelle leggende metropolitane. E funziona tutto da dio.
Addio, Wes Craven
In più, Wes Craven gioca con gli stessi cliché del genere in una maniera tale che solo un maestro potrebbe farlo. E infatti Scream diventa un successo e il regista non abbandona il brand, dirigendo anche gli altri tre sequel e producendo la serie TV a essi ispirata, che debutta il 1° Settembre 2015. Wes Craven, però, da tempo malato di tumore al cervello, muore poco prima, il 30 Agosto, lasciando un vuoto davvero difficile da riempire.
Chiunque voglia scrivere o dirigere un horror, deve necessariamente studiare il lavoro di Wes Craven, perché molte tecniche sono lì, ben presenti nei suoi film. Puoi decidere d’afferrare un coltello o una mazza chiodata ma, in entrambi i casi, se non sai bene come affondare i colpi, farai poco o nulla. A differenza di Wes Craven, che sapeva decisamente come colpire sia con l’uno che con l’altra.